Nonostante la catastrofe di Fukushima del marzo 2011 abbia portato diversi paesi (come Svizzera, Germania e Belgio) a voltare definitivamente le spalle al nucleare, tale produzione di energia sembra destinata a crescere del 30% nel mondo entro il 2020, passando da 2 milioni e 386.449 a 3 milioni e 78.130 gigawatt/ora. La previsione, contenuta in uno studio pubblicato dal centro di ricerche internazionale Global Data, viene poi in qualche modo confermata dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), secondo cui l’incidente alla centrale giapponese, pur avendo rallentato l’utilizzo dell’energia atomica e la nascita di nuovi impianti, non dovrebbe comunque interromperne lo sviluppo a lungo termine. Abbiamo chiesto un commento a Silvio Bosetti, direttore generale della Fondazione Energy Lab.
Cosa può dirci a riguardo?
Il fabbisogno di energia elettrica sta crescendo in maniera significativa, soprattutto in paesi come Cina, India e Sudamerica, mentre altre zone del pianeta, come l’Europa, risultano al momento decisamente più stagnanti.
Cosa comporta questa crescente domanda?
Che questi Paesi, per soddisfare tale richiesta, si appoggiano sostanzialmente a tre grandi tecnologie: enormi impianti di produzione idroelettrica, impianti a carbone e centrali nucleari. Visto che nei paesi che ho citato la crescita della domanda di energia elettrica nel prossimo decennio è proprio dell’ordine del 30%, mantenendo le attuali ripartizioni tra le fonti di produzione è probabile che anche il nucleare faccia registrare un simile aumento.
Come mai la richiesta di energia proviene soprattutto da questi paesi?
In Cina si sta facendo molto per portare l’energia in ogni città e villaggio, mentre in India è in atto una fortissima crescita economica. L’Europa, al contrario, sta vivendo aspetti contingenti che certamente non aiutano: da una parte vi è una contrazione economica e finanziaria che senza dubbio si sta facendo sentire, dall’altra si stanno applicando rigide politiche di efficienza energetica per contenere i consumi. Un terzo aspetto, inoltre, è quello relativo all’assenza di crescita della popolazione.
Secondo lei, in futuro quale fonte di produzione di energia verrà privilegiata?
Attualmente sta prendendo piede la straordinaria scoperta del cosiddetto “shale gas”, vale a dire il recupero di gas naturale non solo dai grandi giacimenti ma anche dalle rocce scistose, una produzione che sta crescendo moltissimo soprattutto negli Stati Uniti. Per quanto riguarda le rinnovabili, invece, nel nord Europa è previsto un intervento molto significativo nel settore dell’eolico, come sta accadendo nel Mare del Nord, mentre in certi casi si ritornerà anche all’idroelettrico. In altri paesi, infine, si sta guardando molto alle biomasse.
Nonostante Fukushima, quindi, il nucleare non ha subito quella battuta d’arresto che in molti si aspettavano?
Per ora solo alcuni Paesi europei, in particolare la Germania e la Svizzera, hanno annunciato un disimpegno dalla produzione di energia nucleare entro il 2024-2025, quindi tra oltre 10 anni, ma nessun Paese ha in realtà mai smesso. Paesi come Cina e India proseguono con impianti di terza generazione particolarmente sicuri, mentre di recente si è appreso che anche alcuni paesi ricchi di petrolio, come gli Emirati Arabi, installeranno impianti di produzione nucleare. L’Europa, nelle sue direttive, riconosce ancora sia gli impianti di produzione nucleare (Francia) sia quelli di produzione a carbone (Germania), mentre l’Italia, in questo scenario, rappresenta un’anomalia.
Che tipo di anomalia?
Nella Strategia energetica nazionale, resa pubblica proprio la scorsa settimana, ci sono indicazioni molto interessanti sul mantenimento della quota di produzione di energia da gas naturale, sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento e sul tema delle rinnovabili, mentre altre trattano soprattutto l’efficienza energetica per la riduzione dei consumi. Un investimento massiccio è stato poi fatto sul fotovoltaico, che oggi rappresenta una buona fetta di potenza installata, ma con il limite che è attiva solo nelle ore di luce, quindi 1.200 ore all’anno a fronte delle 8.700 di fabbisogno complessivo. La nostra anomalia riguarda in particolare il fatto che, rispetto a tanti altri paesi del mondo, utilizziamo quasi esclusivamente gas naturale per la produzione di energia elettrica.
Oltre a Cina e India, in quali altri paesi il nucleare sta prendendo piede?
Soprattutto in alcuni Paesi dell’Est Europa, come la Polonia, dove è in programma la realizzazione di ben quattro impianti. L’argomento non è invece più trattato nei paesi più tradizionali del Vecchio Continente, dove si cerca più che altro di utilizzare gli impianti esistenti, ma senza ipotizzare nuove realizzazioni per il futuro prossimo.
(Claudio Perlini)