Potremmo avere in tempi tutto sommato brevi bollette del gas meno care. Il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, ha annunciato in conferenza stampa l’intenzione di forzare le procedure dell’istituzione affinché applichi al più presto un provvedimento contenuto nel decreto Crescitalia (che impone la revisione della composizione delle fatturazioni). I costi della materia prima, in particolare, non dovrebbero più essere negoziati attraverso i contratti cosiddetti take or pay (ovvero, in base ai costi della fornitura di lungo periodo), ma attraverso i contratti spot (basati, cioè,  sul prezzo del mercato giornaliero). L’Autorità sta già marciando in tale direzione, ma con tempi meno rapidi di quelli che Passera sembra auspicare. Nel corso del 2013, di fatto, dovremmo pagare circa il 6-7% in meno, pari a 90 euro a famiglia, mentre da ottobre i contratti spot dovrebbero diventare il 100% del totale. Abbiamo chiesto a Francesco Bernardi, amministratore delegato del gruppo Dse-Tremagi, come valuta la richiesta del ministro.



Ci sono realmente i margini per una riduzione significativa dei costi del gas?

Ci sono. Anzitutto, a causa di un eccesso di offerta sullo scenario internazionale. Il prezzo del gas è sensibilmente diminuito per diverse ragioni: la domanda è calata, perché l’inverno è stato più mite del previsto e per la recessione economica. Sullo scenario internazionale, inoltre, è sopraggiunta la disponibilità dello shale gas, ovvero del gas sprigionato dalla frattura delle rocce scistose. Una fonte energetica che ha consentito la ripresa economica Usa, e l’autosufficienza del Paese dal gas. Va da sé che se uno dei maggiori consumatori mondiali diminuisce  sensibilmente il proprio fabbisogno, sul mercato si determina un eccesso di offerta, con la conseguente rinegoziazione dei contratti di fornitura. C’è un altro ordine di motivi per cui i prezzi andrebbero calmierati.



Ci spieghi.

Il sistema distributivo italiano è connotato da una serie di inefficienze che devono essere decisamente migliorate. Specialmente per quanto riguarda i conguagli. Tra i distributori primari e secondari del gas, infatti, c’è grande confusione. Tra la previsione dei consumi e il consuntivo si determinano oscillazioni estremamente elevate, che danno spazio a molte ambiguità che l’Autorità sta cercando di stigmatizzare in maniera precisa. Aumentando l’efficienza su questo fronte permeterebbe prezzi proporzionali ai reali consumi.

E’ quello di cui c’è bisogno per il Paese?



E’ indubbio, anzitutto, che occorre ridurre il costo delle bollette delle famiglie che si trovano a pagare prezzi altissimi (specialmente per quanto riguarda l’energia elettrica) a causa degli incentivi al fotovoltaico: abbiamo avuto il maggior numero di impianti installati al mondo, mentre i sussidi sono stati fatti ricadere sulle bollette tradizionali.

 

Sin qui si è parlato di un risparmio per le famiglie. E le imprese?

Beh, il risparmio ci sarebbe anche per loro. E sarebbe quanto mai provvidenziale. La politica energetica dei vari governi ha avuto negli anni passati, infatti, un occhio di riguardo per gli energivori (grandi imprese metalmeccaniche, siderurgiche, ecc.) mentre non si può dire altrettanto per le Pmi. Tali politiche si sono portate avanti prelevando forme di incentivi che venivano riservati esclusivamente ad alcuni settori. Il tutto, in maniera “mascherata”, a causa della stigmatizzazione degli aiuti di Stato da parte dell’Ue. Tutto ciò, in parte, è stato necessario. Tuttavia, nonostante le Pmi non siano dilaniate dai costi dell’energia, si trovano a pagare in proporzione tantissimo, senza aver mai avuto alcun beneficio dalla politica energetica. Oltretutto, non avendo mai avuto un sindacato che fosse in grado di fare i loro interessi, sarebbe finalmente opportuno adottare alcuni interventi, anche una tantum, per riequilibrare il sistema. 

 

(Paolo Nessi)