Nel mese di febbraio l’energia elettrica richiesta in Italia, pari a 25,7 miliardi di kWh, ha fatto registrare una flessione dell’8,1% rispetto all’analogo periodo del 2012. Lo rende noto Terna spiegando che, depurata dagli effetti di temperatura (quest’anno la media è stata di un grado centigrado inferiore) e calendario (lo scorso anno è stato bisestile), la variazione diventa -5,1%. Secondo un’altra chiave di lettura, si potrebbero leggere questi dati come chiaro sintomo di una crisi economica: gli italiani spengono la luce per risparmiare. Sull’interpretazione di queste rilevazione abbiamo intervistato Silvio Bosetti, direttore generale della Fondazione Energy Lab.
Che significato ha la rilevazione fornita da Terna?
Sicuramente dal punto di vista macroeconomico credo non sia una bella notizia. I consumi di energia elettrica sono un indicatore significativo dell’andamento dell’economia di un Paese, quindi questo testimonia che le grandi utenze hanno diminuito i loro consumi. Oppure che, forse, c’è qualche dato di miglioramento dell’efficienza energetica del Paese.
In che senso?
L’Italia, come tante altre nazioni europee, sta attuando degli interventi di miglioramento delle prestazioni nelle produzioni come, per esempio, impianti di illuminazione con un’alta efficienza.
Quindi sta dicendo che in Italia viene valorizzato il settore dell’energia?
Si stanno iniziando a fare una serie di investimenti tesi a diminuire i consumi e a realizzare sistemi di utilizzo dell’energia più efficienti. Già nelle nostre case abbiamo lavatrici che consumano meno energia e nelle fabbriche c’è stata un’attività di sistemazione dei motori.
Per quanto riguarda, invece, la produzione di energia, quali investimenti si stanno facendo?
Il nostro Paese esce da 3-4 anni di grandissimi investimenti nel settore del fotovoltaico, delle energie rinnovabili con impianti che nei momenti di picco possono anche raggiungere il 25% della potenza installata. Come ben noto tutto questo ha due limiti. Il primo è che la produzione del fotovoltaico avviene solo nelle ore di illuminazione, quindi 1500 ore all’anno sulle 8000 di fabbisogno. Il secondo è che ha un impatto sull’infrastruttura di distribuzione: prima avevamo poche grandi centrali e ora abbiamo tantissimi piccoli impianti diffusi e questo comporta un cambiamento totale della rete di con la conseguente necessità di dotarsi di reti elettriche intelligenti in grado di gestire una diversa distribuzione.
Il fatto che in Italia si paga l’energia più cara d’Europa, il 35% in più della media dell’Eurozona, di certo non stimola al consumo…
Il prezzo che pagano famiglie e imprese può aver determinato una flessione nei consumi, perché è decisamente superiore rispetto alla media europea. Rispetto alla Francia e alla Finlandia, che sono paesi con ottime prestazioni, fino al 35-40%, ma direi una media del 20% in più rispetto all’Europa.
Quali sistemi hanno adottato gli altri paesi europei?
La Germania, per esempio, ha affiancato al fotovoltaico e all’eolico grandi produzioni continuando con l’energia prodotta dal carbone che ha dei prezzi di produzione molto più contenuti. La Francia continua a produrre energia con il nucleare. Altri paesi come la vicina Svizzera sono forti sul settore dell’idroelettrico. Quindi esistono delle forme di produzione dell’energia il cui prezzo è molto più contenuto di quelle che vengono utilizzate in Italia, dove è prevalente l’utilizzo del gas naturale o del fotovoltaico.
Qual è il suo parere sull’energia nucleare?
Oggi in qualche modo questo tipo di tecnologia è stata sicuramente frenata dagli ultimi eventi riguardanti la sicurezza e mi riferisco in particolare agli incidenti di Fukushima. Questo ha un impatto sull’opinione pubblica che non è più trascurabile. L’Italia ha votato un referendum e si è detta contraria. Il mio parere è secondario, minoritario: faccio solo presente che nel mondo gli altri paesi continuano a produrre energia da fonte nucleare, ma credo che in Italia almeno per un decennio sarà meglio non parlarne più.
Quali politiche dovrebbe mettere in campo il nuovo Governo, nel settore dell’energia?
Dovrebbe ripensare alla possibilità di incrementare la produzione nazionale di idrocarburi, gas e petrolio. Attualmente noi produciamo circa il 10% del nostro fabbisogno, ma abbiamo la possibilità di passare al 20% con un duplice effetto positivo: ridurre la dipendenza dall’estero e diminuire i prezzi. Il nuovo Governo dovrebbe anche insistere in una politica di investimenti per il contenimento dell’efficienza energetica. Paesi che sono poveri di fonte primaria ed energia devono fare come le buone famiglie sul settore economico: ridurre i propri consumi aumentando l’efficienza. Terzo aspetto riguarda una forte riflessione sulla situazione delle fonti rinnovabili.
Di che tipo?
Credo che il nostro Paese abbia già dato tutto sugli incentivi al fotovoltaico e bisogna veramente comprendere se ci sono altre fonti da utilizzare. In questo senso bisognerebbe riprendere da un lato l’idroelettrico (siamo fermi agli ultimi investimenti degli anni ’60) e dall’altro l’eolico offshore. Come ultima cosa, si potrebbe fare una piccola rivisitazione della liberalizzazione dei prezzi del mercato dell’energia, magari ripensandoli in ottica europea.
(Elena Pescucci)