Oltre cento città italiane sono servite da impianti di teleriscaldamento e la volumetria allacciata a questi sistemi è superiore a 260 Mm3che corrisponde a più di un milione di appartamenti equivalenti (cioè con superficie di 80 m2); sono cifre interessanti, che però impallidiscono se messe a confronto con quelle di altri Paesi europei, in particolare del centro Nord.



Se consideriamo la percentuale di teleriscaldamento sull’intero settore del riscaldamento, troviamo che da noi il teleriscaldamento copre poco più del 4% mentre in Austria arriva al 20%, in Cecoslovacchia al 38%, in Polonia e Finlandia è attorno al 50%, per non parlare della Danimarca che supera il 60% qui però ci sono particolari condizioni e normative che privilegiamo questa soluzione energetica). Anche circa le fonti il confronto è istruttivo: dall’analisi del bilancio energetico dello IEA (International Energy Agency) risulta che il 75% delle fonti per il teleriscaldamento provengono da “calore rinnovabile e di recupero” mentre in Italia siamo al 72%.



Eppure, proprio a partire dalla varietà e dalla distribuzione delle fonti utilizzabili il teleriscaldamento avrebbe potenzialità notevoli e da considerare attentamente. Ne è convinto Francesco Gullì, docente di Economia dell’energia ed economia ambientale all’università Bocconi di Milano, che ilsussidiario.net ha incontrato in occasione del workshop “Il teleriscaldamento nelle prospettive dell’efficienza energetica: opportunità e barriere al suo sviluppo”, organizzato nei giorni scorsi dalla Fondazione EnergyLab in collaborazione con Airu (Associazione italiana riscaldamento urbano).



Gullì inizia sottolineando i vantaggi di un approccio moderno alla progettazione dei sistemi di teleriscaldamento, cioè di un approccio integrato, che fa leva sul concetto di rete vista come l’infrastruttura fondamentale in grado di veicolare alle utenze energia termica rinnovabile e di recupero. Smentisce anche i possibili timori di natura economica: «Certo, la rete crea una sorta di monopolio naturale e il timore di alcuni è che le imprese titolari di tale monopolio possano fissare prezzi eccessivi: in realtà ciò non succede perché c’è la concorrenza delle altre fonti energetiche come il gas , il gasolio, l’elettricità. Ciò che è importante della rete è la sua funzione e cioè il fatto che permetta di convogliare delle risorse distribuite sul territorio, come piccole fonti rinnovabili, piccoli giacimenti di pozzi geotermici e così via, che altrimenti non riuscirebbero ad avere valore economico. Potendo invece concentrare il calore prodotto da queste piccole fonti si riescono a sfruttare le economie di scala».

Quindi l’infrastruttura di rete ha una funzione molto importante per la valorizzazione delle risorse diffuse sul territorio. Un esempio è proprio legato a qualcosa che riguarda la situazione di molte famiglie e uffici: «La semplice produzione di calore con le caldaie da appartamento o condominiali spreca un sacco di quella che abbiamo imparato a chiamare exergia. L’exergia è la capacità dell’energia di produrre effettivo lavoro e può essere recuperata attraverso il teleriscaldamento abbinato ad un impianto di cogenerazione. Utilizzando questa soluzione, invece della semplice caldaietta, si ottiene un forte risparmio energetico e quindi anche un notevole vantaggio di carattere ambientale».

Gullì insiste sul concetto che il calore prodotto con un impianto di cogenerazione e teleriscaldamento «non è il prodotto di scarto della produzione elettrica e quindi è valorizzabile dal punto di vista economico. Ciò è anche sancito dalla stessa Direttiva Europea sulla promozione della cogenerazione che, nel calcolare l’impianto efficiente cogenerativo e quindi l’elettricità effettivamente prodotta ad alta efficienza ed eventualmente poi da incentivare, parte dal calore disponibile e quindi dalla dimensione termica dell’utente». Si può ricordare che la nuova Direttiva 2012/27/UE promuove come teleriscaldamento “efficiente” quello che risponde alla logica dei Sistemi Energetici Integrati e che utilizza: per almeno il 50% energia rinnovabile; il 50% di calore di recupero; il 75% di calore cogenerato; o il 50% di una combinazione di tale energia e calore. In sintesi, si può dire che il calore non è lo scarto della cogenerazione, anzi è il calore che traina la cogenerazione.

C’è poi il tema del più corretto approccio alla gestione dei sistemi di teleriscaldamento e cogenerazione; si parla di cogenerazione “fatta bene” e Gullì spiega cosa si deve intendere con tale espressione. «La cogenerazione è un classico caso di produzione congiunta; tutti i metodi che possono essere trovati per ripartire i costi sulle due produzioni, termica ed elettrica, sono comunque arbitrari per quanto possano essere abbelliti e perfezionati. Qual è la cosa migliore? È che se esistono dei mercati, che siano le scelte dei consumatori ad attribuire il giusto valore ai differenti prodotti, all’elettricità e al calore. È così che avviene nel caso degli idrocarburi: noi non conosciamo il costo della benzina e del gasolio che sono prodotti simultaneamente, lo conosciamo dai prezzi, perché sono i mercati, quindi le scelte dei consumatori, a generare le differenze tra i prezzi».

C’è infine il tema problematico della regolamentazione: alcuni insistono sulla linea dei regolamenti, altri si limitano a invocare una situazione più disciplinata, altri sono più aperti: tra questi Gullì. «Oggi regolamentare il teleriscaldamento presenta forti controindicazioni. Primo ne inibirebbe un ulteriore sviluppo, visto che il teleriscaldamento in Italia è ancora nella sua fase embrionale; secondo non è detto che produca dei vantaggi per i consumatori; terzo, inibendone lo sviluppo inibirebbe anche la pressione competitiva che può esercitare sulle imprese dominanti del gas e quindi eliminerebbe un fattore di competitività e concorrenzialità del mercato».