In occasione della Sensors Expo and Conference, svoltasi nel giugno scorso a Rosemont (Usa), la MicroGen Systems aveva annunciato e mostrato la possibilità di attivare una rete di sensori wireless sotto tensione utilizzando un sistema di energy harvesting vibrazionale basato su un piezo-Mems. Annunci di questo tipo si stanno diffondendo e segnalano la crescita di una nuova soluzione tecnologica in campo energetico che unisce idee antiche con avanzati sistemi microelettronici. Ci riferiamo al cosiddetto Energy Harvesting (letteralmente, mietitura di energia) e lo facciamo a partire da un contributo presentato sulla rivista specializzata Automazione e Strumentazione da Giuseppe Fezza.
Le tecnologie di energy harvesting o power harvesting o energy scavenging, scrive Fezza, raggruppano tutte le tecniche e i processi che rendono possibile il recupero, la trasformazione e l’accumulo di energia, anche di piccole quantità, ricavate da diverse fonti presenti nell’ambiente (calore, luce, vibrazioni, vento, onde radio ecc.). «Attraverso l’utilizzo di queste tecnologie è possibile alimentare un dispositivo elettronico, liberandolo dalla necessità di essere allacciato ad una rete di distribuzione elettrica o di utilizzare delle batteria, garantendo un risparmio in termini economici, con la possibilità di avere una fonte di alimentazione gratuita, per tutta la durata dell’applicazione e praticamente senza alcuna manutenzione».
La sfida tecnologica quindi è ricavare alimentazione dalle fonti di energia sempre disponibili nell’ambiente, come la luce, il vento, le differenze di temperatura, le vibrazioni, le onde radio ecc., in modo da far funzionare un qualsiasi dispositivo elettronico. Per fare qualche esempio, secondo le stime pubblicate già qualche anno fa dal The Journal Of Technology Studies, dal rumore acustico si può ricavare una densità energetica di 0,003 µW/cm3 a 75 dB; dalle variazioni di temperatura 10 µW/cm3; dalle vibrazione (da movimenti di macchine) 800 µW/cm3.
Varie sono le fonti di energia ambientali da cui è possibile ricavare alimentazione. Si possono ad esempio sfruttare le differenze di temperatura e i flussi di calore presenti ovunque nell’ambiente: si pensi al calore disperso dai motori degli autoveicoli, dal calore geotermico contenuto nel sottosuolo, dal calore presente nelle acque di raffreddamento in vari processi industriali.
C’è poi tutto il campo dell’energia dalle vibrazioni: elettrodomestici, macchinari industriali, mezzi di trasporto e strutture civili come edifici, strade presentano spesso vibrazioni con un livello energetico tale da rendere interessante una loro conversione in elettricità tramite generatori che possono essere di tipo elettromagnetico, piezoelettrico o elettrostatico.
Anche dalle onde radio dei servizi di telecomunicazione (trasmissioni TV e radio, telefonia mobile) si può pensare di recuperare energia per alimentare reti di sensori wireless. E c’è chi pensa di ricavare energia dal corpo umano, sfruttando il calore corporeo, la pressione sanguigna, la respirazione e i movimenti degli arti. Utilizzo principale di tali tecnologie sarà soprattutto il settore medico, con la creazione di apparecchiature e sensori indossabili per il monitoraggio dei parametri fisiologici, ovviamente in modo poco invasivo e senza disturbare lo svolgimento delle normali attività umane
Un settore che si sta sviluppando rapidamente, come indica anche la notizia riportato in apertura, è quello dei sensori che – ha detto in un’intervista sempre ad Automazione e Strumentazione a seguito di un intervento alla manifestazione S&PI, Sensors & Process Instrumentation, Vittorio Ferrari del dipartimento di ingegneria dell’informazione dell’Università di Brescia – «in un prossimo futuro potrebbero non aver più bisogno di sorgenti di alimentazione, come le batterie, e quindi funzionare per un tempo virtualmente illimitato, senza necessità di essere mantenuti». Durante la stessa manifestazione Ferrari ha presentato gli studi in merito portati avanti dal suo dipartimento e indirizzati su due filoni: il recupero di energia dalle vibrazioni meccaniche, diffuse in numerosi campi applicativi, e il recupero da sorgenti termiche, sfruttando anche piccole differenze di temperature molto facili da trovare in svariati ambienti industriali.
Nel corso degli ultimi anni, secondo l’analisi di Fezza, si è affermato il concetto di «sensore autonomo inteso come dispositivo indipendente di rilevamento integrato in una rete. Nei sensori autonomi non vengono utilizzati cavi, né per la trasmissione dei dati, né per l’alimentazione. Essi trascorrono la maggior parte del tempo in standby e si “svegliano” solo per eseguire specifiche azioni, ovvero la misurazione, l’elaborazione e la trasmissione/ricezione dei dati».
La “naturale” applicazione dei sistemi autonomi sono le reti di sensori wireless. I sensori autonomi sono in grado di autoconfigurarsi all’interno di una rete wireless operativa e di lavorare in maniera automatica. In un contesto del genere l’energy harvesting permette di estendere la durata del funzionamento, di eliminare il costo e l’inconveniente della sostituzione delle batterie sui nodi sensori, di ridurre gli sprechi e di accrescere l’energy awareness dei nodi sensori, nel senso che questi sono in grado di gestire le proprie risorse energetiche in modo intelligente per fornire un funzionamento sostenibile. Ci sono già esempi interessanti di installazioni, ad esempio nel settore oil & gas, ma il trend è in crescendo.
Certo, come per tutte le tecnologie, non mancano problemi ed elementi di criticità. Ad oggi – osserva ancora Fezza – «la tecnologia energy harvesting riesce a recuperare dalle fonti ambientali quantità di energia ancora relativamente limitate rispetto alle necessità di alimentazione di un qualsiasi dispositivo elettronico. Inoltre, lo sviluppo e la produzione di un sistema autonomo risulta essere un’attività relativamente complessa, nella quale devono essere valutate preliminarmente e attentamente tutte le fonti disponibili e se necessario integrare più fonti, aumentando in questo caso di molto le complessità sia hardware dei circuiti, sia software per la gestione delle operazione e delle elaborazioni».
C’è da dire che gli sviluppi recenti nelle micro e nano-tecnologie stanno portando alla realizzazione di dispositivi di dimensioni sempre più ridotte e con consumi energetici che si riducono di conseguenza. Inoltre, l’utilizzo dell’energy havesting comporta l’eliminazione degli svantaggi che nascono con l’utilizzo delle batterie come unica fonte di alimentazione: tra questi l’eliminazione delle attività necessarie per la loro manutenzione e per la loro sostituzione, che a volte può risultare molto onerosa.
«Ultimo vantaggio, ma non per importanza, dei sistemi Energy harvesting rispetto ai sistemi di alimentazione tradizionali è il grande risparmio nei costi di implementazione e di esercizio».