Due settimane fa il Centro ricerche ENEA di Frascati ha ospitato la visita di Bill Gates che, accompagnato dal fisico Lowell Wood, ha visitato i laboratori dell’Unità Tecnica Fusione; inutile dire che Gates (su suggerimento di Wood) ha manifestato un chiaro apprezzamento per l’altissimo livello raggiunto. In effetti, il Centro di Frascati fin dagli anni ’50 del secolo scorso si è distinto come riferimento di eccellenza mondiale nella ricerca sulla fusione termonucleare, grazie all’attività scientifica per lo studio dei plasmi a confinamento magnetico condotta sulle macchine Frascati Tokamak (FT) e Frascati Tokamak Upgrade (FTU), oltre all’impianto ABC per lo studio dell’interazione luce laser-plasma, la tecnologia alternativa al confinamento magnetico. Solo negli ultimi 20 anni l’Unità Fusione ha depositato 50 brevetti con applicazioni in altri settori; e sono significative le ricadute per lo sviluppo e la competitività delle industrie nazionali attraverso il trasferimento tecnologico.



L’interesse di grandi investitori internazionali e del mondo scientifico in genere per la possibile produzione di energia fusione, pur tra alti e bassi non viene meno. C’è chi parla della fusione come dell’energia del terzo millennio: se le ricerche che si stanno sviluppando da decenni daranno i risultati tanto attesi e più volte preannunciati, si arriverà a una fonte di fonte di energia rinnovabile, sicura, praticamente inesauribile, economicamente competitiva e in grado di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili. La prospettiva è quella di sfruttare l’enorme quantitativo di energia  rilasciata nelle reazioni di fusione nucleare, nella quale nuclei di atomi leggeri, ad esempio di idrogeno, fondono per dar luogo a nuclei più pesanti, riproducendo il meccanismo fisico che alimenta le stelle.



L’Europa ha conquistato la leadership mondiale nel settore, attraverso la costruzione e lo sfruttamento scientifico e tecnologico di diverse macchine sperimentali nell’ambito del programma europeo sulla fusione e del progetto ITER, che vede tutta l’Unione europea insieme alla Svizzera collaborare all’interno del Consorzio EUROfusion. ITER, uno dei progetti più grandi e complessi in via di realizzazione a livello mondiale, è in costruzione nel sud della Francia, a Cadarache, dove ha già sede l’organizzazione mondiale “ITER Organization” istituita per la sua realizzazione e composta da Unione europea, Stati Uniti, Cina, Giappone, Corea del Sud, India e Federazione Russa. L’Italia è parte rilevante di questo programma e ha conquistato un livello di eccellenza riconosciuto nella comunità scientifica internazionale. 



D’altra parte, nella ricerca sulla fusione l’Italia è tra i primi paesi al mondo per eccellenza dei risultati e capacità di realizzazione. Ma non è solo una questione di prestigio: sono rilevanti i benefici in termini di innovazione, sviluppo e ricadute economiche su tutto il nostro sistema industriale. Se ne è fatto eco l’altro ieri il seminario “ITER, la via verso la competitività globale attraverso la fusione Europea”, organizzato a Milano da ENEA in collaborazione con Confindustria Lombardia per fare il punto sui progressi della ricerca nella fusione e rafforzare l’importanza del trasferimento tecnologico alle imprese per lo sviluppo e la competitività del Sistema Italia.

Basti pensare che negli ultimi tre anni, le imprese italiane hanno vinto contratti per oltre 900 milioni di euro, quasi il 60% del valore delle commesse europee per la produzione della componentistica ad alta tecnologia relativa al progetto internazionale di ricerca sulla fusione ITER. Sono oltre 500 le industrie italiane che guardano con interesse a questa impresa. L’Ansaldo Nucleare (di Genova), l’ASG superconductors (di Genova), la SIMIC (di Cuneo) e la Walter Tosto (di Chieti), la Mangiarotti (di Sedegliano) sono alcune fra imprese di grandi dimensioni che si sono aggiudicate gare per centinaia di milioni di euro per la costruzione della camera da vuoto, il cuore del progetto ITER, e di altri importanti componenti, come le bobine superconduttrici e i divertori. 

Ma anche altre imprese di dimensioni più piccole sono riuscite ad aggiudicarsi gare per alcune per decine di milioni di euro, come la Tratos (di Arezzo), la OCEM (di Bologna), la Criotec (di Chivasso), la Delta-Ti Impianti (di Rivoli), la Zanon (di Schio), la CECOM (di Roma) e l’Angelantoni Test Technologies (di Perugia).

La principale caratteristica di un progetto come ITER – al di là degli aspetti scientifici in senso stretto – è proprio quella di essere fortemente incentrato sulla collaborazione e le sinergie fra ricerca e industria; come peraltro è apparso evidente dalle testimonianze raccontate nel corso del workshop di Milano. E non sono sembrate forzate le parole del Commissario dell’ENEA Federico Testa quando ha affermato che l’ente da lui presieduto “ha maturato un’eccellenza indiscussa in questo campo e intende rafforzare ulteriormente l’impegno nel trasferimento di tecnologie innovative alle imprese, consolidando la leadership di quelle già affermate e offrendo opportunità anche alle realtà di dimensioni più piccole”.

Il tema del trasferimento tecnologico tra ricerca e industria, troppe volte oggetto solo di dissertazioni accademiche, in questo caso sta mostrando tutta la sua concretezza.

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