Il calo a picco del prezzo del petrolio, che influenza anche quello del gas, porterà benefici nel breve termine all’Eurozona e all’Italia importatrici di energia, ma anche un rischio di rialzi catastrofici nel futuro, nonché danni nel presente sugli investimenti del settore. Il calo è pilotato da una strategia dell’Opec a guida saudita con lo scopo di buttar fuori mercato, cioè rendere i costi superiori ai profitti, lo sfruttamento da parte di attori non-Opec di nuove fonti di idrocarburi per ridurre la quantità globale di offerta e così ripristinare una posizione di monopolio del cartello, precursore di prezzi più alti nel futuro.



Infatti, i nuovi giacimenti e/o le nuove tecnologie di estrazione via frantumazione di rocce (shale oil e gas) sono profittevoli a partire da un prezzo di 50-60 dollari al barile. Per esempio, i programmi russi di sfruttamento dei megagiacimenti artici, quelli brasiliani in fondali profondi davanti alla costa e, soprattutto, quelli di shale oil e gas che hanno dato l’indipendenza energetica agli Stati Uniti e favorito la ripresa economica. In generale, tutti i nuovi progetti di estrazione sono in difficoltà, molti sospesi. E ciò impatta anche sulla costruzione di nuove reti di distribuzione, cioè gasdotti e oleodotti.



L’italiana Saipem questa settimana dovrà fare i conti con l’interruzione della costruzione del gasdotto “South Stream”, in parte causata dalla frizione politica tra Russia e Ue, ma anche dal problema del calo eccessivo dei prezzi energetici. Più preoccupante sul piano sistemico è l’impatto del crollo del prezzo sui titoli di debito con i quali sono stati finanziati gli investimenti per l’estrazione di petrolio e gas “shale” in America: potrebbe creare una crisi finanziaria globale se il prezzo scendesse verso i 30 dollari al barile, e oltre, dagli oltre 100 di qualche mese fa e dai 66 circa di venerdì scorso.



Da un lato, non sarebbe la prima volta che l’Arabia tenta una tale strategia distruttiva per difendere la posizione monopolista. Dall’altro, proprio la prospettiva catastrofica indurrà le nazioni e gli attori economici più danneggiati a reagire sia via compromessi con i sauditi, sia via dissuasione. Tuttavia, lo scenario è complicato da giochi geopolitici multipli e incrociati.

Il punto: l’Eurozona e l’Italia non stanno intervenendo in questi, privilegiando il beneficio a breve termine senza valutare i rischi nel medio-lungo e l’elevata probabilità che l’Europa sarebbe la più danneggiata qualora la strategia saudita andasse fine in fondo. Un richiamo per promuovere attivamente un compromesso appare, quindi, razionale e urgente.

 

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