È da un po’ che ci provano e forse il traguardo delle celle fotovoltaiche spray non è lontano. L’obiettivo è sempre quello: trovare soluzioni semplici ed economiche per produrre energia sfruttando la fonte più diffusa e durevole come è quella del nostro Sole. Il sistema spray permetterebbe, ad esempio, di far diventare la carrozzeria di un’automobile un unico pannello solare mediante un’operazione come quella che si fa spruzzandole sopra una vernice.



La chiave è data, ancora una volta, dalla scienza dei materiali e dalle nanotecnologie. Già lo scorso anno fisici e ingegneri dell’università di Sheffield (UK) avevano sperimentato i vantaggi di un materiale particolare, la perovskite, annunciando di aver ottenuto celle fotovoltaiche con rendimenti fino al 19%, un valore non molto lontano dal 25% del tradizionale silicio finora abbondantemente utilizzato. 



La perovskite è un minerale molto comune, accessorio di rocce ignee e carbonatiche, scoperto in Russia nel 1839 e dedicata allo scienziato Lev Perovski. Da qualche anno se ne erano evidenziate le notevoli proprietà nell’assorbire la luce e soprattutto la possibilità di utilizzarlo al posto del silicio nella produzione di celle per la produzione di energia solare. A differenza del silicio, con la perovskite c’è il vantaggio di poter realizzare strati assorbenti molto sottili, 1 micrometro (millesimo di millimetro) di spessore contro i 180/200 micrometri richiesti dai materiali più usati. è questa proprietà che aveva permesso ai ricercatori inglesi di creare il primo spray ad elevata efficienza capace di depositare sulla superficie degli oggetti un sottilissimo film che diventa in pratica una enorme cella solare.



Ora un gruppo di ingegneri canadesi ha compiuto un ulteriore passo avanti nella realizzazione di celle solari a spruzzo, economiche e facili da produrre. Un team guidato da Illan Kramer. Kramer e composto da ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Elettrica e Informatica dell’Università di Toronto e del Centro di Ricerca e Sviluppo IBM canadese, ha inventato un nuovo modo di spruzzare celle solari su superfici flessibili con materiali fotosensibili minuscoli, noti come punti quantici colloidali (CQDs, Colloidal Quantum Dots). 

Il processo di produzione di questi strati si chiama ALD (atomic layer deposition, deposizione di strato atomico) e con esso i materiali vengono distribuiti su una superficie dello spessore di un atomo. Finora però, era possibile incorporare CQDs fotosensibili su superfici solo tramite elaborazione batch, cioè con un approccio del tipo “catena di montaggio”: una modalità di rivestimento chimico inefficiente, lenta e costosa. Col nuovo metodo messo a punto a Toronto, un liquido contenente CQD viene deposto direttamente su superfici flessibili, come pellicole o plastica, come si fa quando si applica inchiostro su un rotolo di carta nel processo di stampa di un giornale. Questo metodo di rivestimento roll-to-roll rende molto più semplice la produzione di celle solari attraverso processi produttivi esistenti. In due recenti articoli sulle riviste specializzate Advanced Materials e Applied Physics Letters , Kramer ha dimostrato che il metodo può essere utilizzato su materiali flessibili senza alcuna rilevante perdita di efficienza delle celle solari.

Pensando alle applicazioni possibili, i CQD fotosensibili stampati su pellicole flessibili potrebbero essere utilizzati per ricoprire superfici dalle forma più diverse, dagli arredi da giardino alle ali di un aereo. Per dare un’idea quantitativa dei vantaggi, si può calcolare che una superficie delle dimensioni del tetto di una normale automobile ricoperta con pellicola CQD produrrebbe energia sufficiente per alimentare tre lampadine da 100 Watt o, se si preferisce, 24 lampade compatte fluorescenti.

In un terzo articolo, pubblicato recentemente sulla rivista dell’American Chemical Society, ACS Nano, Kramer e colleghi hanno descritto l’utilizzo del supercomputer IBM BlueGeneQ per modellare come e perché i CQDs spruzzati svolgono il loro compito altrettanto bene, e in alcuni casi meglio, delle loro controparti che ricorrono all’elaborazione batch. 

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