La civilizzazione sviluppatasi a livello planetario con il nesso crescita-idrocarburi-finanza, e il suo corollario sociale rappresentato dal nesso qualità della vita-libertà-stabilità, ha raggiunto il suo apice e sta rapidamente declinando. Il mondo sta cambiando, ma noi non vogliamo riconoscerlo. Così restiamo ancorati per inerzia e limitatezza culturale a modelli, sistemi e proposte di soluzioni che sono vecchie, inefficaci e dannose. In questa fine del secondo decennio del terzo millennio, Seneca aleggia impietoso ammonendo che “l’incremento è graduale, la rovina precipitosa” e la mitica dea dell’ecosistema Gaia distrugge l’entropia alla massima velocità, non si preoccupa degli umani, ma pensa solo a sopravvivere.



I dati a disposizione sono indicatori chiari dei primi passi verso il declino del nostro modello di civilizzazione. Il periodo 2015-2025 sembra profilarsi come il punto di flesso della storia, un’inversione della direzione lineare che può assumere forme convesse o concave. I dati che seguono ci danno la percezione che la curva è convessa, quindi del declino.



Il primo modello (rappresentato nel primo grafico) combina i dati disponibili sulla produzione industriale, l’inquinamento, l’alimentazione, le risorse e la popolazione. Si tratta di un modello elaborato nel 2004 che sulla base del “World3”, il modello usato nello studio “I Limiti dello Sviluppo” originariamente pubblicato nel 1972, considera l’economia mondiale nel suo complesso. Sul tema si veda il libro di Ugo Bardi, “The limits of growth revisited” (2011, Springer).

Se nella seconda metà del secolo corrente si troverà un migliore equilibrio tra risorse disponibili, produzione industriale e inquinamento, probabilmente grazie a un “salto” culturale che porterà verso una nuova civilizzazione, resta impressionante il deficit tra la popolazione e la disponibilità di alimentazione. Si può intuire che i problemi, e i danni, saranno piuttosto importanti.



Per capire quali siano i fattori che determineranno il nostro futuro prossimo, riporto nel secondo grafico uno schema semplificato elaborato qualche anno fa da Magne Myrtveit. La forza che “muove” i flussi tra i diversi fattori dello schema non si vede: si tratta dell’entropia. L’intervento umano può cercare di orientarne l’effetto, ma non può sfuggire alle leggi (semplificate) della termodinamica che ad esso implacabilmente si applicano: 1) non puoi vincere ; 2) non puoi averne di più ; 3) non puoi abbandonare il gioco.

Il sistema mondiale, economico, sociale, industriale, ambientale, agricolo, finanziario, è interconnesso, come i vasi di una fontana multilivello, per cui non è possibile immaginare soluzioni durevoli e sostenibili pensando al “particolare” senza vedere l’insieme. D’altra parte il monito di papa Francesco che richiama all’armonia come metodo che permette dalla “periferia di vedere l’insieme, il tutto” si fonda proprio sulla coscienza etica che la nostra civilizzazione si sta avvicinando al punto di flesso.

Vediamo brevemente come si colloca l’Italia rispetto a queste tendenze mondiali.

In un bel post di Maurizio Sgroi, “Siamo un paese per vecchi (possidenti): triste, solitario y final”, si rileggono i dati elaborati dalla Banca d’Italia nell’ultimo rapporto sulla ricchezza delle famiglie italiane. Un’immagine dickensiana del Bel Paese dove ormai si è resa statica la polarizzazione della ricchezza, concentrandosi negli ultra 65enni e deprivando gli under 35. Scrive Sgroi: “Dal 2002, poi, con l’ingresso dell’euro, la divaricazione fra i giovani e i vecchi diventa drammatica. La sensazione, magari fallace ma convincente, è che l’euro abbia consolidato la ricchezza dei vecchi e dissipato quella dei giovani che, leggo altrove, emigrano sempre più numerosi: e cos’altro potrebbero fare? Aspettare l’eredità?”.

La drammaticità della situazione italiana è rappresentata anche in due grafici che misurano l’evoluzione del consumo di petrolio in termini assoluti e in relazione al suo prezzo tratti dal “BP statistical review del 2012 e aggiornato nel 2013”.

 

 

 

In termini assoluti il consumo di petrolio in Italia è tornato ai livelli del 1967 quando la popolazione era di soli 50 milioni. Meno 30% solo negli ultimi 10 anni! In relazione al prezzo si vede che il consumo di petrolio in Italia può aumentare quando il barile costa meno di 20 dollari, è stabile intorno ai 40 dollari, e declina drasticamente quando è superiore.

Si conclude che così l’economia italiana non ce la fa e la società è diventata quella descritta nel rapporto della Banca d’Italia. Tuttavia, sulla politica energetica si deve guardare anche all’Europa dei burocrati comunitari di Bruxelles che negli ultimi 20 anni hanno sbagliato obiettivi, misurazioni e ricette.

L’energia e l’ambiente sono due materie fortemente comunitarizzate in Europa, con responsabilità della Commissione europea, del Parlamento e del Consiglio. Correttamente il Financial Times scrive che “Energy price gap with the US to hurt Europe for at least 20 years”. Infatti, mentre negli Usa la politica energetica è evoluta verso nuove frontiere di produzione, l’Europa è rimasta ferma a concetti da anni ‘80. Il risultato è che oggi in Europa il gas costa tre volte di più che in America e che l’elettricità costa due volte di più.

Certo, l’Europa è più sensibile all’impatto ambientale. Ma se l’economia si ferma questo approccio diventa insostenibile!

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