Il Grand Prix del fotovoltaico si fa sempre più appassionante: in palio c’è la coppa dell’efficienza delle celle solari e nel circuito mondiale della specialità si fronteggiano i migliori campioni della fisica, della scienza dei materiali e dell’elettronica.
Le notizie di sorpassi e fughe in avanti si susseguono in questo periodo, avendo come tribuna per la diffusione delle novità riviste come Nature Materials o Nature Photonics o altre pubblicazioni internazionali specializzate. Sulla prima, pochi giorni fa è apparso un articolo di John Rogers, professore di scienza dei materiali e ingegneria presso l’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, che illustra un nuovo approccio: è basato su un processo di stampa per la manipolazione di piccoli elementi semiconduttori ultraleggeri che possono essere impilati uno sopra l’altro per produrre un insolito tipo di cella solare in grado di operare su tutto lo spettro solare con un’efficienza estremamente elevata.
È un modo per superare uno dei principali limiti delle tecnologie fotovoltaiche tradizionali, dato dal fatto che le attuali celle solari sfruttano solo una porzione dello spettro di frequenze della radiazione solare; la possibilità di operare a “full spectrum” spalancherebbe interessanti opportunità di miglioramento e di ottimizzazione degli impianti.
La strategia do Rogers prevede l’inserimento in pile multistrato di celle solari sottili con un procedimento a stampa ad alta velocità e con nuovi materiali di interfaccia; ne risultano delle celle solari a quadrupla giunzione, che possono arrivare a efficienze individuali del 43,9%. Il processo di assemblaggio in parallelo permette la formazione simultanea di schiere di celle multi-giunzione impilate in una modalità step-and-repeat completamente automatizzata con rese elevate, superiori al 95%. Il modulo descritto nell’articolo consiste in una cella superiore costituito da una micro cella a tre-giunzioni, con un rivestimento antiriflesso per garantire la trasmissione efficiente della luce agli strati superiori; la cella inferiore utilizza una architettura di germanio a giunzione diffusa. Nel gruppo così impilato, la cella in alto cattura la luce con lunghezze d’onda tra 300 e 1300 nanometri; le lunghezze d’onda da 1300 a 1700 nm passano attraverso la cella in basso con minimi riflessi di interfaccia, grazie all’impiego di un sottile strato di uno speciale tipo di vetro calcogenuro. Un secondo annuncio, a breve distanza di tempo, è giunto dalla Northwestern University tramite Nature Photonics e riporta i lusinghieri risultati della ricerca di un gruppo di chimici guidati da Mercouri G. Kanatzidis del Weinberg College of Arts and Sciences.
I ricercatori della Northwestern hanno sviluppato una nuova cella solare con buona efficienza basata sulla perovskite – la struttura più promettente impiegata ultimamente nelle celle fotovoltaiche – ma che utilizza dello stagno invece del piombo come materiale per catturare la luce. Se le celle solari alla perovskite, promosse come la “next big thing” del fotovoltaico, hanno raggiunto il 15% di efficienza, la perovskite allo stagno di Kanatzidis e colleghi dovrebbe essere in grado di eguagliare, e forse superare, tale livello. C’è da dire che tale comportamento poteva essere in qualche misura ipotizzabile, dato che stagno e piombo si trovano nello stesso gruppo della tavola periodica degli elementi.
Due cose rendono speciale il nuovo materiale: la prima è che può assorbire la maggior parte dello spettro della luce visibile; la seconda è che il sale di perovskite può essere sciolto e può riformarsi dopo la rimozione del solvente senza riscaldamento. La struttura della cella solare allo stagno è un sandwich di cinque strati e ogni strato contribuisce per qualche aspetto importante. Il primo strato è un vetro elettricamente conduttore, che permette alla luce solare di entrare nella cella. Lo strato successivo è in biossido di titanio, depositato sul vetro; insieme i due agiscono come contatto elettrico anteriore della cella solare.
Successivamente viene depositata la perovskite stagnata, cioè lo strato che assorbe la luce. Sopra questo c’è lo strato di trasporto, essenziale per chiudere il circuito elettrico; ciò ha richiesto di trovare le giuste sostanze chimiche in modo da non distruggere lo stagno sottostante: conoscendo la reattività della perovskite, i chimici hanno ritenuto che la sostanza ottimale fosse la piridina. Questo strato viene poi inserito nell’apposito vano e la cella solare viene sigillata ed è pronta per l’uso. Un sottile strato di oro riveste le celle solari e funge da elettrodo di contatto posteriore. L’intero dispositivo, con tutti i cinque strati, ha uno spessore di circa uno o due micron. I ricercatori hanno infine testato il dispositivo sotto un simulato pieno sole e hanno registrato un’efficienza di conversione di energia del 5,73%: un valore che è considerato un ottimo punto di partenza.