Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 24 giugno, il tanto discusso decreto spalma-incentivi è arrivato al traguardo. Le misure previste dal Governo intendono ridurre i costi della bolletta energetica per famiglie e imprese attraverso diversi provvedimenti tra cui la revisione degli incentivi al fotovoltaico: un norma prevede infatti per gli impianti solari con potenza superiore ai 200 kWp, a partire dal 1° gennaio 2015, un allungamento del periodo di incentivazione da 20 a 24 anni o in alternativa una riduzione dell’8% della tariffa incentivante.
Lo spalma-incentivi ha in sé qualcosa di giusto e qualcosa di sbagliato. L’una e l’altra cosa andrebbero però valutate nell’ottica più ampia della direzione, cioè dello scopo a cui tende (o dovrebbe tendere) il sistema energetico italiano. Questa visione di lungo periodo è stata però completamente trascurata dal Governo, interessato solo a monetizzare pochi benefici di breve periodo. Ma andiamo con ordine. E cominciamo dallo spunto buono e condivisibile dello spalma-incentivi.
Gli incentivi al fotovoltaico sono durati pochi anni e la quasi totalità del loro valore è stata attribuita nel triennio 2010-2012. Ormai la stagione degli incentivi si è chiusa da oltre un anno, ma guardando al passato va riconosciuto che si è trattato di un lungimirante intervento di sostegno a un’energia pulita che oggi può riversare enormi benefici sui fruitori di questa energia (ricordiamolo, generata a costi zero), e che ha l’enorme vantaggio di non generare costi ambientali e sociali (inquinamento, malattie, ecc.), riducendo anche le spese di importazione di combustibili fossili. Non è un caso se i principali paesi industrializzati come Cina, Stati Uniti e Giappone oggi stanno investendo con decisione sull’energia solare.
Quindi gli incentivi hanno avuto un enorme merito, anche se, come spesso avviene in Italia, c’è stato chi (complice una normativa interessata) li ha utilizzati come una possibilità di accedere a lauti guadagni. Un regolamento che nel 2010 e nel 2011 si era rivelato eccessivamente permissivo e generoso ha favorito non solo i legittimi obiettivi di privati, aziende e pubbliche amministrazioni interessate ad avere energia elettrica a costi inferiori, ma ha attirato anche un’enorme quantità di investitori e speculatori per i quali gli impianti fotovoltaici incentivati erano solamente una possibilità di costruire prodotti finanziari ad altissimo rendimento.
Questo comportamento, riprovevole, ma legittimo, è stato non solo favorito dalle regole in sé (cioè dalle leggi dello Stato), ma anche dal fatto che il Governo nel 2010 ha ulteriormente aperto i recinti in modo assolutamente scriteriato allargando i termini dell’adesione al secondo Conto energia oltre la sua naturale scadenza e quindi favorendo una bolla speculativa che negli anni successivi si è riversata contro il settore. Da un certo punto di vista, viene quindi da considerare eticamente condivisibile una norma che tende a recuperare una parte di quegli incentivi concessi con troppa generosità.
Però, e veniamo a ciò che dello spalma-incentivi non è per nulla condivisibile, se guardato da un altro punto di vista questo provvedimento suscita grandi preoccupazioni. Non bisogna infatti dimenticare che proprio le leggi dello Stato sugli incentivi hanno stabilito le regole del gioco, e su queste regole tante imprese, artigiani e professionisti hanno costruito dei business plan in base ai quali hanno richiesto finanziamenti, hanno programmato uno sviluppo e quindi l’assunzione di nuovo personale, hanno pianificato investimenti e fatto debiti…
Ora lo spalma-incentivi con un intervento retroattivo mette in discussione questi business plan. Cosa significa? Che rischiano di saltare tanti conti economici mettendo a repentaglio la sussistenza stessa di molte aziende. E non si tratta solo di quelle del settore del solare (per le quali questa è solo l’ultima di una serie di offensive che le hanno messe letteralmente in ginocchio): molte di queste aziende saranno costrette a chiudere o a ridimensionarsi, con danni occupazionali ben più gravi dei benefici che il Governo si attende dallo spalma-incentivi. Ma i danni di questo provvedimento retroattivo toccano direttamente anche tante Pmi che hanno scommesso proprio sul fotovoltaico installato sui capannoni per avere energia a costi inferiori così da incrementare la propria competitività. Ci saranno sofferenze finanziarie, vertenze con le banche, rischieranno di saltare piani di leasing…
Ora, purtroppo, questa è una pessima abitudine: lo sappiamo, gli imprenditori allo Stato chiedono soprattutto di avere regole precise con le quali ingaggiare la propria sfida al mercato. Se le regole vengono modificate nel corso della partita, significa che è letteralmente impedita la possibilità di programmare e quindi di fare sviluppo, mortificando le già deboli energie del tessuto imprenditoriale italiano. E, ancora peggio, tenendo lontani dall’Italia gli investitori esteri.
È noto quanto la mancanza di certezza normativa sia uno dei motivi principali che scoraggiano chi volesse investire in Italia. Con lo spalma-incentivi confermiamo questa triste nomea: in Italia non ci sono certezze di regole che permettano di lavorare. Così per punire gli speculatori, ai quali lo Stato stesso aveva spalancato le porte, si creano nuove leggi che generano più danni di quelli cui si vuole porre rimedio.
Tanti investitori che sarebbero pronti a riversare sull’Italia fiumi di denari ci fanno un pernacchia e rivolgono altrove i loro interessi. Nei giorni scorsi lo ha detto con molta chiarezza, dalle pagine delWall Street Journal, il Ceo di NextEnergy, Michael Bonte-Friedhmein: “Ora che il denaro è stato speso e gli impianti funzionano, Mr. Renzi vuole stracciare i contratti […]. Il capo del Governo può credere che i mercati abbiano la memoria corta e che questo percorso può essere più facile che riformare le inefficienze del settore energetico italiano. Forse ha ragione, ma gli auguriamo buona fortuna nell’attrarre nuovi investitori stranieri in futuro. Però non venga a bussare alla mia porta”.
L’accenno alle inefficienze del settore energetico italiano, ci introduce alla terza riflessione che lo spalma-incentivi sollecita. Quella sul futuro del sistema energetico italiano. Infatti, non bisogna essere ingenui: dietro questo provvedimento ci sono le fortissime pressioni dei signori delle fonti fossili che stanno cercando di ostacolare lo sviluppo di quelle fonti rinnovabili, e del fotovoltaico in particolare, che hanno sottratto loro clienti, ricavi e redditività. Le ragioni sono molto semplici: dietro ogni impianto fotovoltaico installato, c’è un cliente che acquista meno kWh perché se li produce da solo sul tetto dell’abitazione o del capannone.
Questo continua a essere il paradosso italiano: uno scenario energetico dove si erigono continuamente nuove barriere alla reale competizione tra aziende e tra fonti energetiche, e quindi nuove barriere a un assetto di mercato che possa favorire una sana concorrenza. Uno dei pionieri del fotovoltaico, Paolo Rocco Viscontini, fondatore di Enerpoint, ha lanciato accuse precise in una lettera indirizzata al premier Renzi: “Con la ‘rimodulazione’ degli incentivi moltissimi impianti andranno in default finanziario, che vuol dire che non ci saranno neppure i soldi per garantirne la manutenzione. Risultato: molti impianti, a causa dell’assenza di assistenza tecnica, dovranno pure essere spenti! Ma forse questo era proprio l’obiettivo finale: far spegnere gli impianti fotovoltaici per poter riaccendere le centrali a olio combustibile, carbone e gas che negli ultimi due anni hanno visto le loro ore di funzionamento crollare a causa dell’inaspettata e significativa crescita della produzione fotovoltaica”.
Dietro lo spalma-incentivi, alla fine c’è solo la difesa di quelle posizioni di rendita su cui i signori delle fonti fossili hanno costruito il proprio successo economico, e un allontanamento da quel mercato libero che da sempre è foriero di benefici per il cliente finale.