La quantità di energia proveniente dal Sole sottoforma di radiazione luminosa è enorme, si stima che quella in arrivo sul suolo terrestre in un secondo sia circa diecimila volte più grande della quantità di energia utilizzata dall’intera umanità nello stesso intervallo di tempo. Purtroppo si tratta di una forma di energia molto poco concentrata e per catturarne quantità significative è necessario ricoprire ampie superfici con dispositivi in grado di sfruttarla. Attualmente, gli strumenti più utilizzati per questo scopo sono i pannelli fotovoltaici: dispositivi a semiconduttore che sfruttano l’effetto fotovoltaico per trasformare l’energia della radiazione solare incidente in corrente elettrica.



Per comprendere come avviene questo processo è utile ricordare che struttura atomica dei materiali semiconduttori è caratterizzata dalla presenza di elettroni appartenenti a bande di energia ben definite. La banda di minore energia, quella detta di “valenza”, è occupata dagli elettroni meno legati agli atomi di appartenenza e, per questo motivo, disponibili a formare legami chimici con atomi di altri elementi. Seguono la banda “proibita” (così chiamata perché inaccessibile agli elettroni) e la banda di “conduzione”. Quest’ultima, a cui compete una maggiore energia, è normalmente vuota, ma può essere occupata dagli elettroni della banda di valenza se questi ultimi ricevono una quantità d’energia sufficiente a superare la banda proibita.



Nel caso dei pannelli fotovoltaici questa energia addizionale è fornita dalla radiazione solare. Quando gli elettroni di valenza saltano nella banda di conduzione lasciano una “lacuna” di segno opposto (cioè positiva) nella banda di provenienza – la mancanza di una carica negativa equivale infatti alla presenza di una carica positiva – dando così origine a una coppia elettrone-lacuna che, propagando in direzioni opposte sotto l’azione di un campo elettrico, contribuiscono alla corrente elettrica in uscita dal pannello.

In realtà, il meccanismo di generazione e separazione delle cariche elettriche nelle celle solari è più complesso perché sfrutta una o più giunzioni p-n, cioè coppie di strati di silicio (il semiconduttore più utilizzato nei pannelli fotovoltaici) opportunamente drogati con atomi di altri materiali che ne modificano la struttura a bande in modo da favorire la diffusione di elettroni e lacune nei due strati della giunzione.



La tecnologia dei pannelli fotovoltaici è ormai ben consolidata, tuttavia, nonostante la sua larga diffusione, i costi ad essa associati non sono ancora sufficientemente bassi per competere con la produzione di energia derivante da altre fonti rinnovabili. Per superare questo inconveniente e consentire alle tecniche fotovoltaiche di avere una maggiore competitività, la ricerca ha condotto in questi ultimi anni allo sviluppo del “fotovoltaici a concentrazione”, un nuovo approccio al solare estremamente promettente.

L’idea su cui si basa questa nuova tecnologia è piuttosto semplice e consiste nel concentrare, per mezzo di lenti o di specchi, la luce del Sole su un nuovo tipo di celle solari: le “celle a multigiunzione”. Si tratta di celle solari molto piccole e ad elevato rendimento che consentono in questo modo non solo di risparmiare sul costo del materiale usato per produrle ma, avendo una migliore efficienza, anche di ridurre drasticamente l’occupazione di spazio a parità di energia prodotta. Le celle a multigiunzione, infatti, grazie alle peculiari caratteristiche costruttive, permettono di aumentare in maniera significativa il flusso luminoso incidente (e di conseguenza anche il loro rendimento), senza subire danneggiamenti derivanti dalle più alte temperature causate dalla concentrazione solare.

Purtroppo, questa nuova tipologia di impianto fotovoltaico è decisamente più complessa di quella tradizionale e comporta la necessità di dover affrontare una nuova serie di problematiche sia scientifiche che tecnologiche, quali ad esempio: il complesso processo di produzione delle celle a multigiunzione, il controllo delle strutture meccaniche usate per l’inseguimento del Sole nelle varie ore della giornata (al fine di mantenere l’ottica di collezione sempre allineata alla sorgente luminosa), le problematiche legate alla dissipazione dell’eccesso di calore generato, la pulizia delle ottiche di collezione ecc.

In Italia, uno dei principali laboratori in cui si svolgono ricerche avanzate nell’ambito del fotovoltaico a concentrazione è quello di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico) con sede a Piacenza – Le Mose. Inaugurato nel novembre 2011, il laboratorio (in cui operano ricercatori che hanno alle spalle un’esperienza ben consolidata nel settore del fotovoltaico) ha avuto un ruolo molto importante nel progetto europeo APOLLON (di cui RSE è stato coordinatore) appena concluso, nell’ambito del quale ha sviluppato moduli a concentrazione con valore di efficienza di conversione pari al 30%.

Nei prossimi tre anni e mezzo il laboratorio sarà impegnato nel progetto di ricerca CPVMatch, lanciato nell’ambito del programma europeo Horizon 2020. L’obiettivo della ricerca (condotta con altri partner europei, tra i quali il tedesco Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems, coordinatore del progetto) è quello di realizzare celle solari e moduli ad alta concentrazione (maggiore di 800 soli) con valori di efficienza del 48% e 40% rispettivamente, avvicinando così le prestazioni realmente misurate a quelle che fino ad ora erano considerati livelli puramente teorici (mai raggiunti a livello mondiale).

Leggi anche

EOLICO/ Dalla galleria del vento (del Politecnico) alle future turbine offshoreFOTOVOLTAICO/ Per essere un buon pannello solare ci vuole molta concentrazioneENERGIA/ L’uovo di Colombo per sfruttare le onde del Mediterraneo