Le guerre energetiche e la frontiera dell’EniShell acquista la rivale “interna” British Gas per 64 miliardi di euro. Il Wall Street Journal accusa l’Eni di essere l’unica compagnia occidentale tuttora in attività in Libia, ma al prezzo di accordi con le milizie islamiche locali. Il premier greco Alexis Tsipras vola a Mosca – lontano dai creditori europei e oltre il filo spinato delle sanzioni per l’Ucraina – e i colloqui con il leader russo Vladimir Putin partoriscono un immediato preannuncio pubblico: Atene è interessata a diventare un “hub” energetico per la Russia, in particolare aderendo a un progetto di pipeline russo-turca per sostituire l’oleodotto South Stream cancellato dalle sanzioni.



In un mondo in cui il basso prezzo del petrolio viene assunto a unico presupposto certo di ripresa, gli idrocarburi prendono subito fuoco e gli incendi si propagano alla velocità della luce. L’energia reagisce al turbolento aggiustamento valutario fra dollaro ed euro (altro che “ordinata staffetta del Quantitative easing” fra Fed e Bce) e accende i megamerger di nuova generazione: e il gigante energetico messo in cantiere ieri è a saldo controllo geopolitico anglo-olandese, altro che public company contesa dai mercati globali.



L’energia ripropone come nuove pagine ingiallite da mezzo secolo: la storica insofferenza statunitense verso l’Eni di Enrico Mattei. Quello che – nel celebre film di Francesco Rosi – si difende dalle accuse di trivellazioni pirata (oblique) in Nord Africa e nel contempo rivendica con orgoglio il merito di aver salvato i pozzi egiziani durante la crisi di Suez. (L’energia spiega la “guerra di civiltà” misteriosamente scatenata quattro anni fa contro la Libia di Gheddafi da parte di Francia, Gran Bretagna e Usa: gli stessi che oggi pretenderebbero che fosse l’Italia ad armarsi e partire per spegnere le guerre tribali e i focolai islamici fra Cirenaica e Tripolitania).



L’energia, infine, conferma che l’Europa è una cosa troppo importante per essere lasciata in mano agli eurocrati o alle troike. E che le sanzioni europee alla Russia per conto degli Usa sono state il primo vero “errore” – peraltro evidente fin dall’inizio – del cancelliere tedesco Angela Merkel in dieci anni di governo a Berlino. Un errore che ora rischia di essere replicato nel finale della lunghissima gestione della crisi greca: peraltro assecondata geopoliticamente dai mercati anglosassoni in quanto permanente spina nel fianco dell’eurozona. Ora la spina ellenica non è più nelle mani di Wall Street ma – almeno per qualche giorno – del Cremlino.

C’è un unico errore che può commettere il governo italiano mentre il notiziario energetico incalza e le fiamme si propagano sui mercati (siano essi listini o teatri di guerra): non difendere l’Eni. Sarebbe molto, infinitamente peggio che aver lasciato distruggere Telecom e aver lasciato scalare o spolpare le grandi banche italiane.