La notizia è stata un po’ trascurata dai principali media italiani, mentre era ben presente su diversi network stranieri, Bbc e Cnn in testa: alle 10.30 locali di martedì 11 agosto (le 3.30 in Italia) è ripartito il reattore n.1 della centrale di Sendai, nella prefettura di Kagoshima sulla grande isola di Kyushu, nel sud del Giappone.
Va subito detto che il reattore non è della stessa utility proprietaria della centrale di Fukushima, la ormai famosa Tepco, ma della Kyushu Electric Power Company. Né è dello stesso tipo dei reattori “esplosi” l’11 marzo del 2011 a seguito dello tsunami: quelli erano reattori BWR (Boiling Water Reactor), questo è un PWR (Pressurized Water Reactor) da 850 MWe, costruito agli inizi degli anni 80. Kyushu Electric ha sottomesso la richiesta di riavvio alla nuova struttura regolatoria giapponese, la Nra – Nuclear Regulation Authority, nel luglio 2013.
Ci sono voluti quasi due anni e 100 milioni di dollari di investimenti per nuovi sistemi di sicurezza e nuove procedure di emergenza in caso di incendio, allagamento, altri eventi naturali o incidente severo, prima di ottenere dalla Nra l’autorizzazione al riavvio. A valle delle tre fasi di verifiche tecniche e nulla osta, poi, nei mesi successivi si è dovuto ottenere anche l’assenso delle autorità politiche nazionali, regionali e locali, prima di riaccendere il reattore. In effetti, la notizia è abbastanza sorprendente.
Come mai la nazione che ha subito il peggior incidente nucleare della storia, tre vecchi reattori “fusi” in un colpo solo — peggiore almeno dal punto di vista mediatico, se non tecnico, visto che Chernobyl fu molto peggio in termini di radioattività rilasciata e di morti causati dalle radiazioni, tra gli eroici “liquidatori” che limitarono l’incidente — dopo aver ordinato, anche a seguito delle forti e per certi versi violente reazioni mediatiche e politiche, lo spegnimento di tutti i suoi 48 reattori, decide dopo quattro anni di riavviarne il primo di una serie? Il Giappone ci ripensa mentre altre nazioni, pochissime in verità, confermano la loro scelta politica di uscita dal nucleare — Germania e Svizzera — o di non riavvio — Italia. Come mai?
Mi limito qui a fornire qualche chiave di lettura per la prima domanda, ché la seconda è più semplice. La decisione del riavvio differito del nucleare nel Sol Levante (oltre 20 reattori hanno già fatto richiesta di ripartire alla Nra) non è stato certo senza dibattito, reazioni politiche e contestazioni. Si tenga anche conto che nel caso dei reattori di Sendai — la centrale ha due reattori nucleari dello stesso tipo, costruiti nello stesso periodo: il secondo verrà riavviato in ottobre — ci riferiamo a un impianto sito a 50 km dal vulcano attivo di Sakurajima e a 100 km da Nagasaki. Ma la popolazione e le autorità locali hanno dato il loro beneplacito.
La scelta del governo di Shinzo Abe si inquadra in un piano strategico per l’energia che prevede, oltre a una forte spinta sulle rinnovabili, anche un 20-22% di energia elettrica da fonte nucleare al 2030. Prima di Fukushima, i reattori giapponesi coprivano il 30% dei fabbisogni elettrici nazionali e a quel tempo i piani erano di incrementare tale quota fino al 40%.
Cos’è accaduto all’economia energetica nipponica dopo il marzo 2011 e il conseguente spegnimento dei 48 reattori? E’ successo che il Giappone è diventato il primo paese al mondo tra quelli importatori di gas naturale liquefatto, il secondo importatore mondiale di carbone e il terzo di petrolio. Che il costo addizionale annuo per i combustibili, necessario a compensare l’arresto dei reattori, è stato di oltre 30 miliardi di dollari, con un deficit commerciale di oltre 100 miliardi di dollari, in gran parte legato, direttamente o indirettamente, a questi costi addizionali di fonti fossili. E che i consumatori giapponesi hanno visto crescere i costi della bolletta elettrica: +20% i cittadini e +30% le imprese, sempre rispetto al pre-Fukushima.
A questo punto, alcuni commentatori e la confindustria locale si sono mossi. Chiedendo al governo di sospendere il prima possibile il perdurante ordine di “stop” ai reattori nucleari. E di identificare una ragionevole e sostenibile strategia energetica per il futuro del Giappone, con un mix che contempli certamente più rinnovabili ma anche una quota efficace di nucleare sicuro. Dopo alcuni mesi, il governo Abe ha risposto. Una decisione certamente politica, che si appoggia su una valutazione tecnica.
Dopo Fukushima, molto è cambiato anche a livello di autorità di sicurezza nucleare. E’ stata fondata la Nra, molto più indipendente dall’industria e dalla politica rispetto a prima: dei cinque commissari, nessuno ha avuto esperienze nelle industrie o nelle utilities nucleari, tre vengono dall’ambito accademico, uno dall’agenzia atomica giapponese, il chairman dall’ente di ricerca nazionale. La nuova Nra ha fissato nuovi requisiti di sicurezza, molto stringenti, ed ha avviato una revisione completa dei reattori, come ha fatto la stessa Unione Europea con i suoi “stress test”.
Basterà tutto questo a confermare nel medio-lungo termine i piani del governo giapponese? Riuscirà nei prossimi anni a riconquistare, almeno in parte, la credibilità e la fiducia presso i cittadini, persa o severamente minata dopo l’incidente di Fukushima e la sua gestione? Lo si vedrà nel tempo, dai fatti. In primis, da un riavvio lento ma costante di buona parte dei reattori spenti. Soprattutto, da un riavvio senza nuovi problemi.
PS. Nel frattempo, il quadro nucleare internazionale a quattro anni dall’incidente è abbastanza chiaro: ci sono oggi in costruzione 67 reattori, dei quali ben 24 in Cina e 9 in Russia, quest’ultima però è la più attiva a livello internazionale avendo siglato accordi per la costruzione di 24 reattori fuori dai confini nazionali. Questi due Paesi si avviano a giocare un ruolo di leadership mondiale su questo settore.