L’oneroso e impolverato sistema energetico italiano, che nell’ultimo decennio è stato giudicato gravemente dannoso per l’economia e l’ambiente e rimaneggiato con iniziative, talvolta importanti ma più spesso casuali, manda ora avvisaglie di peggioramento e si avvia verso un probabile “fallimento elegante”. Il tema del “paradosso energetico italiano” lo ha risollevato il breve, ma opportuno, articolo di Luca Pagni comparso su Repubblica lo scorso giovedì 10 agosto.



La situazione energetica italiana, in particolare quella elettrica, non ha mai goduto di buona salute, tuttavia, a mio avviso, l’acquisito e condiviso giudizio di “paradosso” dovrebbe più efficacemente essere riclassificato oggi in “dissesto energetico”. Qualche dato tecnico di quanto accaduto lo scorso anno può aiutare a comprendere il contesto e a farsi un’opinione.



Nel 2015, per la prima volta dal 2010, è finalmente risalita la produzione nazionale lorda (+0,8% rispetto al 2014), raggiungendo i 282 TWh; tale produzione ha coperto l’86% del fabbisogno complessivo. Si è registrato anche l’aumento delle importazioni nette, che hanno assicurato una quota del 14,7%, contro il 14,1% dell’anno precedente; in direzione opposta, si annota un aumento anche delle esportazioni (+1,4 TWh, +47,3%), che però sono, in assoluto, a saldo sfavorevole per il nostro Paese.

La quantità di energia da fonte rinnovabile, nel 2015, è diminuita del 9%, passando da 120 a 109,5 TWh (il 38% circa del totale); ciò a causa delle centrali idroelettriche che hanno generato energia inferiore al 25% del periodo precedente. Un aumento, invece, si è registrato per la produzione fotovoltaica (+13%). La quantità di energia elettrica da rinnovabili, incentivata dallo Stato, ha così superato i 65 TWh, con un costo nel 2015 di circa 12,5 miliardi di euro, di cui circa 12,3 miliardi coperti tramite la bolletta pagata da famiglie e imprese.



In questo quadro non mancano gli elementi di preoccupazione per lo scarso apporto del sistema energetico al benessere socio-economico del Paese. Accade oggi infatti, ad esempio, che i nostri impianti abbiano un’ingente capacità di produzione e che quindi di energia se ne produca troppa! I costi di produzione restano al contempo alquanto alti nel confronto di altri Paesi europei e, oltretutto, si continua a importare energia dai paesi confinanti in quantità crescenti. Lo ricorda appunto Luca Pagni, richiamando uno dei basilari e sfortunati fattori strutturali che irrigidiscono il sistema energetico italiano: “L’Italia ha il parco centrali a gas più (grande) ed efficiente d’Europa, grazie alle quali potrebbe vendere una buona parte dell’elettricità prodotta in eccesso, ma non riesce farlo”.

Il punto della situazione lo ha fatto recentemente, con piglio raffinato, ma senza parafrasi, il Presidente dell’Autorità per l’Energia nella propria Relazione Annuale al Parlamento. L’ing. Bortoni, nel ruolo istituzionale, ha infatti affermato che “nell’energia ci troviamo di fronte a fallimenti eleganti (gergo della recente letteratura sulla resilienza), cioè non rovinosi del sistema, che preludono però a precise azioni riformatrici per l’adattamento al mutato contesto. Ciò richiede, per tempo, ri-forme e non già ri-medi a tempo scaduto. Il regolatore deve, quindi, giocare d’anticipo”.

Questo messaggio è rispettoso nei confronti dei parlamentari interlocutori, ma mette in evidenza nel contempo una necessità: il dossier della questione energetica nazionale deve essere riaperto e affrontato. Ciò nonostante l’argomento non è più da tempo nell’agenda governativa. In termini più o meno superficiali, la discussione sull’energia è stata recentemente ripresa, ma prontamente liquidata, in due iniziative inutili nella loro finalità e fuorvianti nei contenuti: il fallito “Referendum sulle trivelle“ o la contemporanea campagna scandalistica dell’”inchiesta sul petrolio” della val d’Agri con la pubblicazione delle relative intercettazioni, tra una Ministra, troppo repentinamente dimessasi, e il suo scaltro compagno di vita, indegnamente defilatosi.

L’opinione prevalente tende a conformarsi. La scarsa propensione all’approfondimento, anche quando si parla di energia, è alimentata dalla preferenza per il gossip o per scelte più romantiche: ci siamo permessi di aprire e chiudere il tema nel paio di settimane in cui alcuni governatori di Regione hanno prospettato il crollo del turismo italiano per via dei pozzi (trivelle) nell’Adriatico e si è gridato quanto sia guasto o corrotto il settore dell’energia o di quanto sia ramificato il sistema di favori politici. D’altra parte, l’unico refrain, ormai trito e ritrito, è quello su cui si schierano i presunti “buoni” dell’energia e cioè che le fonti rinnovabili, a differenza di quelle fossili o nucleari, sono pulite, vantaggiose e, ovviamente, sostenibili.

Da alcuni anni l’argomento “energia”, che era tornato in auge nel 2008 e dibattuto fino alla redazione della Strategia energetica nazionale del 2012, è rientrato quindi nelle retrovie: non è più oggetto sensibile, è incapace di coinvolgere i governanti o di svegliare le opposizioni. Le istituzioni e chi deve riscrivere le regole rimangono freddi e indifferenti. Gli operatori industriali, meno baldanzosi e solidi che nello scorso decennio, sono preoccupati delle loro crisi finanziarie.

Nel frattempo, appunto, il costo per i consumatori dell’energia in Italia resta alto, troppo alto, sebbene la scelta di fornitori per i consumatori sia ampia e di qualità e la capacità di acquistare dal mercato libero sia certamente accresciuta. Lo scenario non è tuttavia ancora al punto di farci perdere il sonno: ciò che accade nel nostro Paese resta infatti un aspetto provinciale e marginale nello scenario energetico internazionale. Il prezzo del petrolio rimane, per fortuna, bassissimo (40 dollari al barile) con un benefico influsso sulla nostra bilancia dei pagamenti verso l’estero. E i fattori che rischiano di cambiare significativamente le sfide energetiche stanno ben altrove.

Due esempi recentissimi. Nell’incontro tra Putin ed Erdogan l’energia era in agenda: nuovi accordi seguiranno presto sia sulla centrale nucleare turca di Akkuiu, che sarà realizzata da imprese russe, sia sul gasdotto Turkish Stream, che sembrava ormai definitivamente accantonato. Oppure la decisione del consiglio di amministrazione di Eef, il colosso francese della produzione elettrica, di finanziare e realizzare la centrale nucleare di Hinkley Point, nel Sud-Ovest dell’Inghilterra: il Regno Unito, del resto e a differenza dell’Italia, soffre da tempo di una cronica insufficienza di capacità di generazione e il progetto costituisce, con il contributo di due reattori Epr da 1600 MW ciascuno, un tassello importante della necessaria revisione del sistema elettrico britannico.