“Business is business”, almeno per chi è abbastanza forte; “le sanzioni sono sanzioni”, almeno per chi è sufficientemente debole. E’ il caso delle sanzioni contro la Russia, che stanno gravemente danneggiando le nostre esportazioni verso questo grande mercato, ma non toccano apparentemente i nostri partner del Nord Europa.
Infatti, le sanzioni sembrano del tutto estranee al progetto di raddoppio del gasdotto che, passando sotto il Baltico, porta il gas russo in Germania. Il progetto Nord Stream 2 fa capo a un consorzio, con sede in Svizzera, partecipato al 50% dalla russa (e statale) Gazprom e, al 10% ciascuna, da due società tedesche, una francese, una austriaca e l’anglo-olandese Shell. Tre di queste società sono già presenti nel consorzio che gestisce il gasdotto già esistente, presieduto da Gerhard Schröder, ex primo ministro socialista tedesco.
All’inizio di agosto si era diffusa la notizia del ritiro dei soci europei dal consorzio in seguito al parere negativo dell’antitrust polacco, che è stato coinvolto poiché alcune delle predette società hanno attività in Polonia. Le motivazioni richiamano le critiche avanzate dagli oppositori del progetto, Ue in testa, in particolare l’eccessiva dipendenza dal gas russo che ne deriverebbe per l’Europa.
Chi sperava in un blocco definitivo è rimasto però deluso, perché Gazprom ha dichiarato di voler portare avanti il progetto anche da sola e gli altri soci hanno deciso di continuare a sostenere l’operazione. A quanto risulta, sono allo studio nuove modalità finanziarie di partecipazione che possano evitare il controllo dell’antitrust polacco.
Le opposizioni al progetto partono da considerazioni economiche e politiche, in gran parte tra loro collegate, come il richiamo alla necessità di ampliare le fonti di approvvigionamento. Attualmente più dei due terzi delle importazioni di gas naturale nell’Unione Europea provengono da due soli Paesi esterni all’Unione: Russia e Norvegia. La produzione norvegese sta calando e il raddoppio del Nord Stream renderebbe ancor più preponderante la dipendenza dalla Russia. Per di più, il gasdotto baltico già in funzione opera attorno alla metà della sua capacità e avrebbe quindi poco senso economico un suo raddoppio.
Circa la metà del gas russo importato dall’Ue (attorno al 30% del fabbisogno totale) passa per l’Ucraina. La costruzione del primo Nord Stream aveva anche l’obiettivo di rendere meno grave questa strozzatura, aprendo una via al nord, come il South Stream avrebbe dovuto affiancare il Blue Stream a sud, passando sotto il Mar Nero. Evidente come motivi sia economici che politici spingano per una differenziazione non solo della provenienza, ma anche delle vie di transito della materia.
Questo aspetto è venuto nettamente alla ribalta con la crisi in Ucraina e il rischio di interruzioni nelle forniture. Il raddoppio del Nord Stream porterebbe a una capacità pari a circa il 75% delle attuali importazioni europee dalla Russia, rendendo marginale il passaggio attraverso l’Ucraina. Un’altra alternativa è data dalla ripresa delle discussioni, ancora peraltro a uno stadio iniziale, tra Gazprom e governo turco sulla costruzione del Turkish Stream. Questo gasdotto, sostitutivo del fallito South Stream, attraverso Mar Nero, Turchia Europea e Grecia porterebbe il gas russo in Italia e in Europa, rendendo definitivamente marginale il passaggio attraverso l’Ucraina.
In questo quadro sono del tutto logiche le reazioni negative dell’Ucraina e della Slovacchia, che vedono a forte rischio le entrate per i diritti di passaggio del gas russo, proventi molto importanti per i loro bilanci.
Le preoccupazioni sono diffuse anche negli altri Stati dell’Europa Orientale, come Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, ai quali il gas russo arriva via Ucraina. Da un punto di vista geopolitico la situazione è un po’ paradossale, perché qui l’avversario non è tanto la Russia, perché comunque il gas di cui si tratta rimarrebbe quello russo, ma la Germania e gli altri Paesi del Nord Europa, che ne diventerebbero i “distributori” quasi esclusivi ai Paesi dell’Europa Orientale e Meridionale.
Per quanto riguarda l’Italia, il gas russo copre attorno al 40% dei nostri consumi ed arriva attraverso Ucraina, Slovacchia e Austria. La costruzione del Turkish Stream diminuirebbe quindi la nostra dipendenza esclusiva dal passaggio ucraino, ma la prospettiva del cosiddetto Corridoio Meridionale non si esaurisce qui. Entro il 2018 dovrebbe essere completato il progetto TANAP, che porterà il gas azero attraverso la Georgia in Turchia e da qui, con la realizzazione del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline), in Italia e in Europa. In questo modo verrebbero differenziate anche le fonti di approvvigionamento, non solo le vie di transito.
Il nostro Paese ha già comunque attuato una certa differenziazione e, a parte un 10% di produzione nazionale, importa anche gas dal Mar del Nord, attraverso Germania e Svizzera, ed è collegato direttamente all’Algeria (gasdotto Transmed che passa per la Tunisia) e alla Libia (il Greensteam sotto il Mediterraneo) con terminal in Sicilia. Ancora bloccato, invece, il progetto Galsi, un gasdotto che dovrebbe portare il gas algerino direttamente in Sardegna e poi sulla Penisola, spinto dal governo algerino, approvato da Bruxelles, ma sul quale il nostro governo sembra tiepido.
Come è evidente, gli aspetti politici sono strettamente, e inevitabilmente, legati a quelli economici e non aiutano a risolvere i problemi; è anche inevitabile osservare che sarebbe più facile giungere a soluzioni ragionevoli se i politici guardassero più alla realtà che ai loro disegni. Osservazione che vale non solo per i politici.