Tra i molti versanti sui quali le dichiarazioni di Donald Trump hanno suscitato vivaci dibattiti vi è quello particolarmente importante della politica energetica. Qui le posizioni di Trump sembrano del tutto antitetiche a quelle di Barack Obama, dato che il nuovo Presidente si è dichiarato piuttosto scettico sul riscaldamento globale e contrario alla riduzione dell’impiego delle fonti fossili, carbone compreso. Al di là delle dichiarazioni, sarà interessante vedere quali azioni concrete verranno intraprese dalla nuova Amministrazione, perché i problemi derivanti dall’inquinamento sono reali, al di là delle frequenti esasperazioni ecologiste. D’altra parte, le stesse compagnie petrolifere sono ripetutamente intervenute sulla questione, affermando il loro impegno per un’energia “più pulita” e sostenendo un maggior impiego del gas naturale, decisamente meno inquinante del carbone e dello stesso petrolio. Peraltro, in alcuni settori sia carbone che petrolio sono difficilmente sostituibili, per esempio il primo nella produzione dell’acciaio e il secondo in varie produzioni chimiche.
La produzione di energia elettrica è l’ambito più a rischio per il carbone, sottoposto alla concorrenza del gas naturale, disponibile ormai a prezzi competitivi, e delle fonti rinnovabili, anch’esse sempre più efficienti e con costi in continua diminuzione. Perfino la Cina, grande utilizzatrice di carbone, sta sviluppando in misura massiccia tali fonti, soggetta come è a livelli di inquinamento divenuti intollerabili. Non è pensabile una completa cessazione dell’impiego del carbone nella produzione di elettricità, almeno per i prossimi anni, ma è prevedibile una costante e consistente diminuzione, difficilmente evitabile. Trump potrebbe però mettere in atto una serie di iniziative a sostegno dell’innovazione tecnologica diretta a ridurre la capacità inquinante del carbone, rendendone più accettabile l’impiego. Una strategia questa che sembrerebbe in linea con le posizioni espresse da Trump sulla ripresa economica americana e che potrebbe essere adottata anche da altri Paesi.
Per il petrolio la sfida maggiore sembra essere nel campo dei trasporti, dove il costante incremento nell’efficienza dei veicoli porta con sé la riduzione del consumo di benzina. Inoltre, in futuro saranno sempre più utilizzati veicoli elettrici, che secondo alcuni commentatori sarebbero in grado, nell’arco di vent’anni, di sostituire in larga parte quelli a benzina. Altri osservatori ritengono questo sviluppo improbabile, almeno in queste dimensioni, data la complessità tecnica e di infrastrutture che comporterebbe una simile conversione di massa. Occorre poi tenere conto della prevedibile vischiosità nelle abitudini degli utenti di fronte a un cambiamento non così marginale.
Il fattore determinante per il futuro dei consumi di petrolio rimane l’andamento dell’economia mondiale: nonostante la crisi in corso, i consumi non sono diminuiti e l’auspicata ripresa porterebbe a un loro consistente sviluppo. Fino a non molti anni fa si paventava il rischio dell’esaurimento delle riserve di petrolio; ora, il problema principale è un eccesso di produzione, che ha portato a una non indifferente riduzione negli investimenti di ricerca di nuovi giacimenti. L’avvento dello shale oil e delle relative tecnologie di estrazione sembra peraltro allontanare il pericolo di una crisi inversa, per difetto di produzione, e la battaglia si è spostata sul prezzo del petrolio.
In realtà, pur rimanendo una materia prima strategica dominata da fattori geopolitici, il petrolio sta sempre più rispondendo anche a leggi di mercato, come il rapporto tra prezzo di produzione e prezzo di fornitura. Attualmente il petrolio viaggia su prezzi pari alla metà di quelli del 2014, ma il problema è soprattutto per i bilanci dei Paesi produttori, perché le compagnie petrolifere stanno reagendo con varie strategie alle avverse condizioni di mercato. Il che non evita il fallimento di quelle meno forti tecnologicamente e/o finanziariamente, ma quelle che rimangono sul mercato stanno ottenendo prezzi di pareggio sempre più bassi, cosicché anche agli attuali prezzi diventa profittevole l’estrazione e il commercio di petrolio.
Le dichiarazioni di Trump a questo proposito sembrano di tipo politico più che economico, tese a sottolineare la posizione di forza raggiunta in questi ultimi anni dagli Stati Uniti con il petrolio di scisto e la sconfitta dell’Arabia Saudita nella sua guerra dei prezzi proprio contro lo shale oil americano. Nel nuovo panorama, pur rimanendo ancora rilevante, anche l’Opec ha perso il suo ruolo di “prezzatore” del petrolio e si è reso evidente come nessuno Stato possa mantenersi solo su questa materia prima: l’evoluzione in corso nella stessa Arabia Saudita ne dà ampia dimostrazione.
Non si può invece escludere che Trump intervenga in modo restrittivo sulle fonti alternative, come solare ed eolico, riducendo i contributi pubblici a questo settore. Tuttavia, gli interventi potrebbero essere più limitati di quanto possano far pensare le esternazioni presidenziali. Queste fonti di energia sono diventate sempre più competitive grazie all’innovazione tecnologica e non a caso, come già detto, la Cina sta investendo pesantemente su di esse. La politica estera di Trump, rispetto alla precedente Amministrazione, sembra orientata a una minore ostilità verso la Russia e a una maggiore fermezza verso la Cina. Sarebbe contraddittorio lasciare a Pechino un ruolo guida nella tecnologia di un settore, come quello delle fonti energetiche alternative, che diventerà sempre più nevralgico.