Autolesionismo? In nome della sacrosanta tutela ambientale, l’Italia s’impegna a ostacolare l’attività dell’industria di idrocarburi nel Mare Nostrum, salvo poi finire per favorire l’estrazione da parte dei nostri dirimpettai adriatici al limitare delle acque territoriali. Il compromesso politico rappresenta la porta girevole tra le due opposte visioni del Governo del cambiamento sullo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi. Si perfeziona nel pasticcio della norma “Blocca trivelle” inserita nel DL Semplificazioni (un contenitore legislativo di tutto e di più) approvato ieri alla Camera con voto di fiducia. Comporta la più pesante battuta di arresto all’esplorazione e alla coltivazione degli idrocarburi su suolo o in mare italico. Questo a dispetto della strategica omissione della spinosa questione nel Contratto di Governo, ma forse a conferma di un ipotetico sottaciuto baratto tra le forze alleate. I pentastellati geneticamente No Triv, a fronte della vittoria sulle trivelle, hanno concesso la riassegnazione delle concessioni idroelettriche alle regione le quali, in particolari le nordiche a guida leghista, potranno incamerare un generoso flusso di introiti dall’oro blu.
Stoppando le nuove concessioni di giacimenti di gas e petrolio a km 0, oltre al danno economico con perdita di migliaia di posti di lavoro tra diretti e indotto, allo smantellamento di miliardi di investimenti e mancati introiti fiscali dalle concessioni, per un Paese non autosufficiente come l’Italia, si rafforza la sudditanza verso l’estero e l’esposizione a rincari energetici. Senza sottovalutare l’impatto ambientale, visto che importando gas si disperde circa un quarto di energia per alimentare i compressori dei gasdotti. Così mentre il Governo congela i nuovi progetti autorizzati e blocca i permessi esplorativi per 18 mesi, termine entro il quale verrà rilasciato un Piano regolatore che identifica le aree in cui sarà ammessa l’attività estrattiva, nel frattempo ogni attività di prospezione è sospesa e quelle 39 già autorizzate sono in bilico appese all’esito della loro congruità secondo il Piano. Si stima che le richieste di risarcimento da parte degli operatori colpiti possano raggiungere fino a 470 milioni di euro.
In contrapposizione alla rinuncia italiana al consistente potenziale minerario nell’offshore adriatico, dove da 60 anni si estrae soprattutto gas naturale con gli standard ambientali più stringenti al mondo, si registra un inconsueto attivismo di richieste di autorizzazioni in Croazia, Montenegro, Albania. E siccome ci vogliono meno di due anni dalla scoperta allo sfruttamento concreto quando, come nel caso dell’Adriatico, i giacimenti sono vicini alle basi operative, questo significa, come paventano gli esperti, che potrebbero essere i nostri vicini a ricavare tutti i benefici dell’attività estrattiva, incamerando magari anche di quel gas “italiano” che si trova in quelle riserve a cavallo del confine marino.
Già, perché in fondo al mare è complicato tener conto delle linee divisorie tracciate a tavolino tra zone di competenza. I giacimenti, come ha sintetizzato in modo immaginifico Jacopo Giliberto, ricordano la degustazione di un bicchiere di granita: la prima cannuccia che arriva in fondo al ghiaccio aspira tutto lo sciroppo. Diciotto mesi di fermo possono risultare fatali per quel comparto delle trivellazioni in mare che in Emilia-Romagna conta quasi mille imprese con circa 10mila lavoratori. Per questo lunedì a Ravenna il sindaco Michele De Pascale ha promosso una mobilitazione contro lo stop che prelude alla partecipazione sabato 9 febbraio alla manifestazione contro il Governo: l’associazione industriale di settore sfilerà assieme a tutte le sigle del sindacato in una giornata dell’orgoglio dei “caschi gialli” in nome della sana convivenza dell’industria estrattiva con la pesca, il turismo, la salvaguardia ambientale. Perché se la transizione verso le rinnovabili è sacrosanta e non negoziabile, è anche sano realismo riconoscere che non si realizza dall’oggi al domani e che la transizione va fatta con la meno inquinante delle fonti fossili, come ricorda Gianni Bessi, autore di un saggio che definisce il gas naturale l’energia di domani.
Se è già paradossale lasciare che altri, seguendo normative meno vincolanti di quelle italiane, estraggano il gas che ci appartiene e che poi acquisteremo da loro (dipendiamo al 90% dal gas estero), diventa decisamente surreale la situazione che si profila davanti alle coste del Gargano. Politicamente sotto la giurisdizione di Zagabria, i fondali dell’arcipelago Pelagosa, che dista 150 km dalle coste dalmate e solo 50 km dalle coste del Gargano, fanno parte di uno dei 29 comparti assegnati dal Governo croato alle maggiori compagnie petrolifere tra cui anche l’Eni, per la ricerca di idrocarburi. Così i No-Triv pugliesi potranno protestare a distanza ravvicinata dalle piattaforme di petrolio… croato.