Secondo quanto riportato dal Financial Times ieri, gli Stati Uniti avrebbero messo pressione sull’Ucraina perché fermi gli attacchi contro le infrastrutture energetiche russe; gli Stati Uniti sarebbero preoccupati che queste aggressioni possano far salire i prezzi del petrolio e provocare ritorsioni. Secondo una fonte del FT, la Casa Bianca sarebbe sempre più irritata per gli attacchi ucraini con i droni che hanno colpito le raffinerie, i terminali e i depositi nella Russia occidentale e che hanno danneggiato la sua capacità di produzione. Gli Stati Uniti, in altre parole, sarebbero preoccupati di una crisi energetica o dei prezzi alla pompa appena prima dell’entrata nel vivo della campagna elettorale per le presidenziali di novembre.



Supponiamo che le fonti del Financial Times siano credibili. Due anni fa gli Stati Uniti hanno svuotato le loro riserve strategiche per fermare la corsa del petrolio ed evitarne le conseguenze politiche interne. Oggi l’America vive una stagione di rinascita industriale che affonda le radici anche nella disponibilità di energia a basso costo. Il prezzo del gas è ai minimi degli ultimi dieci anni, il prezzo dell’elettricità è un quinto di quello italiano e la metà di quello spagnolo; gli Stati Uniti sono ormai il primo produttore al mondo di idrocarburi e hanno spazio a non finire per qualsiasi progetto rinnovabile per quanto impattante sul territorio. Nonostante queste condizioni, si pongono il problema di come schermare il loro mercato interno dai prezzi europei limitando le esportazioni.



Se gli Stati Uniti mettono pressione all’Ucraina a migliaia di chilometri di distanza e in condizioni energetiche assolutamente privilegiate, tanto più dovrebbe farlo l’Europa; l’Unione europea meno di due anni fa è andata vicina all’imposizione di blackout e assiste al declino dell’industria tedesca colpita e affondata proprio dalla crisi energetica. Nel mentre il Wall Street Journal pubblica articoli in cui ci si chiede cosa possa restare del modello sociale europeo, e del welfare, se il continente deciderà, come pare, di ingranare le marce per investire in difesa. O si pagano gli investimenti tagliando spesa sociale oppure si stampa moneta e si paga con l’inflazione.



L’attuale corso della guerra, ci spiega il FT, minaccia i mercati energetici globali al punto che se ne preoccupano persino gli Stati Uniti e cioè i maggiori produttori di idrocarburi del mondo dato che hanno il primato sia del gas (al secondo posto c’è la Russia), sia del petrolio (al secondo posto c’è l’Arabia Saudita). L’urgenza americana non ha paragoni in Europa. Non è un giudizio di merito, ma una constatazione.

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