La liberalizzazione del prezzo dell’energia, del gas in particolare, è un processo dal quale non si può tornare indietro. Anche se per valutare gli effetti di questa scelta bisognerebbe che non ci fosse la guerra, elemento che cambia la definizione del quadro del mercato, sotto shock per un evento che nessuno aveva previsto. Un processo che l’Europa, spiega Filippo Pavesi, professore associato di Economia politica all’università Liuc Cattaneo, ha affrontato senza essere preparata a gestire una crisi come quella relativa alla guerra.
Professore, come si è arrivati alla liberalizzazione del mercato dell’energia?
Dal ’98 in poi è cominciata questa liberalizzazione soprattutto nel mercato del gas. I Paesi europei hanno smesso di comprare con i loro monopolisti nazionali, che di fatto tenevano dei prezzi fissi a lungo. Non si comprava il gas al prezzo di mercato, ma si fissava un prezzo dei contratti in funzione della domanda. Questo dava una stabilità ai prezzi.
Ogni nazione aveva il suo prezzo, insomma?
Sì. Che poi erano molto simili perché dipendevano dai fondamentali, dal costo delle materie prime e altro. E andava bene a tutti perché la stabilità dei prezzi è una cosa importante. Poi, verso fine secolo si è iniziato a liberalizzare un po’e con l’idea di comprare anche in altri Paesi che producevano gas ed energia, e anche all’interno dello stesso Paese, per poter mettere in competizione tra loro gli operatori.
Quindi una liberalizzazione dell’acquisto del gas sul mercato mondiale ma anche una liberalizzazione dei gestori che si occupano della distribuzione?
Sì. Era un processo che aveva una sua logica. Nel frattempo sono successe alcune cose: nel 2012 c’è stata una crisi con un forte ribasso dei prezzi dell’energia e questo ha accelerato la liberalizzazione, perché l’idea dominante era “Stiamo pagando troppo la nostra energia”, costerebbe molto meno se la comprassimo spot. Quindi perché non andare sul mercato libero?. È stata un po’ la spinta che ha portato ad accelerare il processo. Poi la liberalizzazione è avvenuta e non c’è più il compratore unico nazionale (da noi l’Eni) e quindi siamo più soggetti alla volatilità dei prezzi. E non è che possiamo tornare indietro.
Negli ultimi mesi quanto abbiamo sentito, da questo punto di vista, l’effetto del conflitto aperto dalla Russia?
Oggi paghiamo il prezzo dello shock della guerra in Ucraina, poi magari domani i prezzi torneranno bassi, già negli ultimi tempi si sono un po’ abbassati. Una volta che l’acquisto dell’energia sul mercato internazionale lo assoggetti a prezzi che non dipendono da te devi decidere anche che politica avere nei confronti del consumatore, dell’utente finale. Devi decidere se una volta che c’è un rialzo dei prezzi lo deve pagare l’utente finale o se lo Stato regolatore deve intervenire con la finanza pubblica per sostenere prezzi più bassi.
Un tema in cui si è dibattuto molto nelle ultime settimane, qual è la scelta migliore?
Per una politica di regolamentazione un’idea la devi avere. Siamo arrivati forse un po’ impreparati alla fase di crisi e l’Europa non aveva un meccanismo congiunto, un accordo su come gestire eventuali crisi. Poi forse questa sarà l’unica crisi e non ci saranno problemi e da oggi in poi pagheremo meno l’energia, perché di fatto quello che sta succedendo è che stanno aumentando le fonti, c’è più competizione riguardo la generazione del gas e dell’energia in generale.
La liberalizzazione di per sé è un processo irreversibile? È meglio per il consumatore?
Dipende. Il costo di avere un monopolio è che hai prezzi che possono essere più alti di quelli che sono sul mercato in quel momento, il beneficio è una stabilità di prezzo, non devi pensare alle oscillazioni. Ci sono i pro e i contro. Contro c’è che non benefici dei prezzi bassi quando ci sono. Se sia reversibile o meno è una buona domanda. Non è facile tornare indietro a una situazione di monopolio. Nella storia credo non ci siano stati esempi di questo. Forse il più lampante è quello della creazione delle Banche centrali che sono nate per evitare la proliferazione delle banche locali. Comunque è difficile invertire questo processo oggi. Più ragionevole è capire come regolamentarlo, che non è una cosa banale.
Per vedere gli effetti positivi della liberalizzazione bisogna aspettare che finisca la guerra?
Sì.
Ma chi ha innescato questo processo di liberalizzazione, la Germania ha avuto un ruolo centrale?
La Germania ha sempre un ruolo centrale in queste cose, però sono più rumor. Diciamo che in generale c’era consenso. Forse la Germania era quella più presente sull’acquisto del gas perché aveva dei rapporti più estesi con varie aziende russe, per prossimità territoriale ma anche per storia. Però non è che l’Italia fosse contraria. Sicuramente ha guidato il processo, ma non a detrimento degli altri. È ragionevole pensare che fossero tutti in buona fede nell’immaginare che avremmo beneficiato della liberalizzazione. Certo a volte non si pensa a tutte le conseguenze nel loro complesso, conseguenze inattese come quelle che stiamo vivendo oggi alle quali non eravamo preparati.
La liberalizzazione è un processo da cui non si può tornare indietro, ma gli Stati non erano pronti ad affrontare un momento particolare come questo e dovrebbero porsi il problema di come intervenire in momenti di crisi?
Nessuno si aspettava uno shock dalla Russia, adesso si stanno diversificando gli acquisti. Già questo potrebbe comportare una compensazione in futuro. Poi c’è tutta la questione degli impianti di rigassificazione, che è un po’ strana. Stiamo investendo su degli impianti che non useremo mai. Quando saranno operativi non ci serviranno perché il gas in forma liquida costa di più di quello normale. Se i prezzi saranno scesi non useremo quei rigassificatori.
È un po’ scettico su questa soluzione?
Non è che sono scettico, è una sorta di assicurazione, se domani dovesse succedere qualcosa avremo questi impianti, però, il gas liquido è quello che costa di più, in un momento normale non conviene comprarlo. Poi magari i prezzi cambieranno, non sono un esperto di prezzi dell’energia. Di base è una tecnologia più complessa, ha costi di trasporto maggiori. È una soluzione che a breve non porta a nulla. Siccome si spera che la crisi sia temporanea i rigassificatori serviranno a poco.
(Paolo Rossetti)
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