Il prezzo del gas europeo è salito ai massimi degli ultimi sei mesi; i prezzi dell’elettricità in Italia non solo hanno smesso di scendere ma cominciano a risalire e negli ultimissimi giorni hanno sorpassato i 100 euro a megawattora; prima della crisi con la Russia i prezzi erano tra i 50 e 60. Il colpevole di giornata per i rincari del gas sarebbe la Norvegia da cui i flussi sono crollati a causa di un guasto. Questa può essere la spiegazione di breve, ma il tema vero è che i mercati del gas europeo, dalla fine delle forniture dalla Russia, sono strutturalmente volatili e dipendenti da questa o quella speculazione. La ragione è che i contratti di fornitura a lungo termine a sconto sono un ricordo e il 40% delle importazioni europee ormai arriva via mare sotto forma di gas liquefatto. La competizione per queste forniture, di per sé strutturalmente più costose, è globale e i prezzi sono più volatili. L’Europa ha un solo modo per stabilizzare i prezzi del gas nel medio termine ed è quello di trovare altri fornitori che si impegnino a fissare i prezzi, almeno all’interno di una banda, a fronte di impegni di lungo termine. Fuori da queste ipotesi la “soluzione” è lasciata al nucleare o alle rinnovabili.
La questione è politica e geopolitica perché questi contratti sono possibili solo all’interno di un quadro geopolitico e di rapporti di politica estera stabile; il presupposto è presentarsi come interlocutori credibili. Sappiamo che né il nucleare, né le rinnovabili possono essere la soluzione nei prossimi anni. Nel primo caso perché lo sviluppo di un reattore richiede molti anni. Il mito delle rinnovabili come soluzione al problema energetico italiano sopravvive nonostante sia evidente che il caso di scuola, in Europa, non è la Germania ma la Spagna che le innesta su una produzione stabile derivante dal nucleare. Continuano a girare, tra l’altro, ipotesi fantasiose sul loro costo, ma su questo punto bisognerebbe almeno chiedersi come mai nonostante ormai quasi tre anni di crisi energetica, e prezzi dell’elettricità molto alti, l’eolico in Italia sia fermo al palo. Nessuno è stupido e se il costo dell’eolico fosse così basso come si dice (in questi giorni si sono fatte ipotesi inferiori ai 50 euro a megawattora) con questi prezzi la capacità sarebbe esplosa da tempo. Le rinnovabili, idrico a parte, sono intermittenti e questo è un problema dato che la tecnologia delle batterie, per grandi dimensioni, non c’è se non a costi proibitivi.
L’obiezione sul gas, che è la stessa che viene fatta contro il nucleare, è che il suo sviluppo nazionale o con accordi di lungo termine con fornitori esteri rischia di diventare una scusa per non andare avanti sulle rinnovabili. Questa posizione rischia di essere ideologica; starebbe in piedi se potessimo risolvere il problema del costo del gas e della volatilità dei prezzi grazie alle rinnovabili in qualche trimestre, ma questa non è la realtà. Anche nella migliore delle ipotesi servono molti anni in cui l’Italia sarebbe condannata a competere con costi dell’elettricità insostenibili; il prezzo della scommessa, con cui si bruciano i ponti delle fonti tradizionali, è la fine dell’industria italiana. Negli anni ’90 in Italia si producevano 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno; oggi siamo sotto quattro miliardi. Riportare la produzione a quei livelli risolverebbe il 30% della domanda italiana a costi controllati e senza rischi geopolitici. Quello che ci separa da quella produzione, oltre agli investimenti, è “solo” un approccio politico che nessun altro, tanto meno gli Stati Uniti di Biden, ha intenzione di assumere.
Il contesto attuale ci costringerà a leggere di guasti in Norvegia, piuttosto che in Australia, o di comportamenti opportunistici delle utility, che pure nel 2022 hanno perso tanti soldi e oggi, ovviamente, si tutelano. La questione, però, è strutturale e il prezzo che pagano gli italiani è quello di una scommessa politica.
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