La sostenibilità ambientale è entrata da tempo nelle agende dei governi nazionali, e ha permesso un’importante conversione delle fonti di produzione di energia. La politica sta continuando in maniera decisa a puntare su questa rotta, basti guardare gli obiettivi fissati dal Piano Nazionale Energia e Clima (PNIEC), ed è un bene. Ciò che convince meno è la pianificazione, il percorso e soprattutto le risorse immaginate per raggiungere questi obiettivi. Come per ogni investimento è necessario fare i conti con il proprio budget e agire in modo efficiente. Quelle messe in campo fino a oggi crediamo siano state azioni efficaci ma inefficienti.
La produzione elettrica è responsabile di circa il 3% delle emissioni di CO2 nel mondo. I numeri ci dicono che per sostituire 450 GW fossili si sono spesi in Europa circa 600 miliardi di euro. Dal momento che nel mondo c’è una potenza installata pari a 6.000 GW, ci vorrebbero 8 milioni di miliardi di euro per una produzione completamente green. Prima di stabilire un piano d’azione è necessario fermarci e immaginare una strategia per recuperare queste risorse, chiedendoci se è una possibilità realmente percorribile.
Questo è il punto sul quale vedo davvero poca padronanza da parte della politica. Ricordo, ad esempio, che non molto tempo fa un noto Onorevole sosteneva che per ridurre il costo della bolletta si sarebbe dovuti ricorrere all’energia rinnovabile. Peccato che circa la metà della bolletta oggi riguarda proprio gli incentivi alle fonti rinnovabili. Si tratta, in media, di circa 13 miliardi di euro che dal 2012 vengono caricati in bolletta ogni anno sotto la voce “Oneri di sistema”.
Il risultato è – mi sia consentita la battuta – la trasformazione della bolletta in un “modello F24”, un modulo che raccoglie svariate voci, tra le quali l’energia è solo una delle tante. La conseguenza peggiore per le nostre imprese e per le nostre famiglie è che negli ultimi 10 anni il prezzo dell’energia all’ingrosso è calato sensibilmente, ma la percezione del vantaggio non è stata colta dal cliente finale perché, contestualmente, gli oneri sono aumentati quasi del 200%.
Cosa fare dunque? Innanzitutto, pensare degli strumenti costruiti come win/win, ovvero che siano incentivanti per tutti, non solo per una parte della filiera. Ad esempio, il credito d’imposta per famiglie che decidono di efficientare il proprio consumo di energia è una strada preferibile, direzione in cui va peraltro il superbonus del 110% contenuto nel cosiddetto Decreto Rilancio. Inoltre, se si vuole agire sulla riduzione di emissioni di CO2, non c’è solo la strada delle rinnovabili, ma anche quella di un cambiamento nel modo di spostarsi: la tanto acclamata mobilità elettrica va favorita, in particolar modo quella “leggera”, che chiede investimenti molto più sostenibili da parte delle famiglie. Infine, va definitivamente lasciato libero il mercato retail di esprimersi: finché ci troveremo in un quasi-monopolio come in questi anni, sarà difficile che l’innovazione e l’efficienza trovino lo spazio che meritano e di cui tutti abbiamo bisogno.
In chiusura, è sempre indispensabile ricordarsi che l’obiettivo della sostenibilità ha un legame diretto con le nostre abitudini quotidiane e che non sono gli incentivi a farle cambiare, ma un nuovo convincimento. E ciò che convince solitamente è un esito migliore, è constatare che una nuova abitudine è più efficace. È quindi altrettanto fondamentale comunicare quali sono i benefici raggiunti finora. Saranno i passi in avanti fatti, se ci sono stati, a convincere ciascuno di noi a modificare i propri comportamenti.
Vale per la sostenibilità come per il business: ogni anno in azienda organizziamo un momento chiamato “Give&Go”, dove comunichiamo gli obiettivi raggiunti e fissiamo quelli dell’anno che ci aspetta. Questo rende tutti più consapevoli e più disponibili a lavorare fianco a fianco dell’azienda evitando di concentrarsi sul proprio “compitino”.
Credo quindi che sia opportuno entrare più nel merito, evitando campagne estemporanee catastrofiste che spesso non fanno altro che polarizzare le posizioni invece di far comprendere meglio la situazione reale. “È un duro lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare…”.