Il primo trimestre di Eni, comunicato ieri, ha confermato ancora una volta quanto sia strategica la società per il Paese nell’attuale contesto economico e geopolitico. Il gruppo è stato in grado di produrre 1,65 milioni di barili al giorno di olio equivalente e ha messo le basi per un’espansione molto significativa di “Plenitude” la società focalizzata, in particolare, sul settore delle rinnovabili. In questo settore si segnalano l’accordo per costruire e gestire due campi eolici offshore in Sicilia e Sardegna per un totale di 750 MW, l’acquisto di campi eolici onshore (sempre in Italia) per altri 110 MW. Sui mercati internazionali Eni si è assicurata, tramite l’acquisizione della greca “SKGR” la possibilità di sviluppare 800 MW di campi solari, e tramite l’acquisto dell’americana “BayWa” altri 266 MW rinnovabili negli Usa. I risultati economici del gruppo sono stati molto buoni a testimonianza del lavoro fatto negli ultimi anni. 



Il tema del giorno è ovviamente il conflitto in Ucraina e i suoi riflessi sui mercati dell’energia globali e in particolare su quello del gas. L’Italia sta provando a svincolarsi dal suo principale fornitore di gas, circa il 40% delle importazioni, in un mercato globale che sconta quasi dieci anni, dalla fine del 2014, di investimenti ridotti che hanno impattato l’offerta. Francesco Gattei, CFO del gruppo, ha dichiarato che “l’attuale crisi ha portato a un rinnovato sforzo per rafforzare la sicurezza energetica”; Eni sta attivamente cercando forniture alternative e addizionali per l’Europa e in particolare per l’Italia. Il gruppo può fare leva sul suo portafoglio globale. Nel breve periodo Eni lavora per volumi addizionali dall’Algeria e dalla Libia via gasdotti; da maggiori importazioni dall’Egitto e da maggiori forniture, anche “grazie ai rigassificatori”, da Nigeria, Qatar e Angola. Anche dal Congo potrebbero arrivare buone notizie con lo sviluppo di nuovi campi.



Questo sforzo fa leva su quanto ha dimostrato negli ultimi anni la società Eni nello sviluppo di nuovi campi con la strategia “fast track”. In questo senso l’esempio massimo è lo sviluppo a “tempo record” di una delle scoperte di gas maggiori dell’ultimo decennio: Zohr in Egitto. L’Eni nell’attuale scenario geopolitico è una risorsa strategica per l’Italia e più in generale per l’Europa. Dal punto di vista del sistema Paese non ci sarebbe maggiore convenienza dello sviluppo delle risorse “italiane”. Riportando la produzione di gas “italiano” ai livelli di fine anni ’90 si potrebbe sostituire una fetta significativa delle importazioni mettendosi al riparo da qualsiasi “ricatto” politico. Lo sviluppo delle rinnovabili non è affatto in contraddizione con la ricerca di idrocarburi. Come dimostra il caso tedesco, il Paese che ha di gran lunga investito più di tutti in Europa, manca ancora molto tempo prima che si possano far convivere le esigenze di una società industriale e con una qualità della vita da “primo mondo” con una generazione rinnovabile. Questo lasso di tempo, soprattutto nell’attuale contesto geopolitico, può essere coperto solo con un settore industriale florido in grado di garantire un’economia forte con cui “pagare” la transizione energetica che è molto costosa. 



In questo senso la “vocazione” e la storia di Eni, decisiva per lo sviluppo industriale dell’Italia, rimangono un valore da difendere sia per la transizione energetica che, soprattutto, per garantire il gas senza cui il sistema industriale italiano non può sopravvivere. Un’attività tradizionale solida oltretutto, come dimostra Eni, è condizione necessaria per qualsiasi sogno di transizione energetica. 

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