“Damme retta, Ennio sa fa’ tutto”, disse Sergio Leone a Carlo Verdone, quando stava lavorando al suo esordio alla regia Un sacco bello, rassicurandolo sul fatto che il maestro degli spaghetti western e della sperimentazione nelle colonne sonore potesse anche realizzare una musica adatta a una commedia. Morricone probabilmente sapeva davvero fare tutto, dall’avanguardia del Gruppo d’Improvvisazione Nuova Consonanza agli arrangiamenti di canzonette pop come Abbronzatissima e Sapore di sale.



Oltre questo, ha saputo conquistare il mondo, ha fatto la storia della musica grazie al cinema e la storia del cinema con la musica: due Oscar – di cui uno alla carriera – e altre cinque candidature, tre Golden Globes su otto nomination, una quantità di premi e una quantità ancora maggiore di film e partiture indimenticabili. Morricone è morto a 91 anni, dopo una carriera che conta ufficialmente 520 crediti tra cinema e televisione e dopo aver cambiato la storia della musica da film grazie a un fischio: quello che solcava le terre aride in cui Leone aveva ambientato Per un pugno di dollari nel 1964.



Prendere strumenti popolari, inserirli nell’orchestra, curare le melodie in maniera maniacale affinché entrino nella testa dello spettatore, fare dei suoni folk della tradizione il terreno per esperimenti strumentali e vocali inaspettati: con la Trilogia del dollaro e gli altri classici di Leone, Morricone ha cambiato l’idea stessa di colonna sonora western. Ma di queste opere, il Maestro non aveva più voglia di parlare, gli sembravano abusate, anche se poi il suo Oscar vinto “sul campo” con The Hateful Eight parte dal western e dai suoi western in primis.

Si potrebbe parlare allora del suo corposo lavoro hollywoodiano, cominciato nel ’69 sempre sulla scia del western con Gli avvoltoi hanno fame di Don Siegel e arrivato poi a incidere profondamente sul tipico suono orchestrale statunitense, inserendo dentro elementi della tradizione classica e operistica italiana, con quel gusto per il cantabile che lo ha reso adorato in tutto il mondo: l’ampiezza commovente del tema di Mission, il ritmo travolgente di Gli intoccabili, la lezione hitchcockiana di Frantic e via dicendo.



Oppure si potrebbe parlare di un altro suo grande legame, quello con Tornatore, il Peppuccio che lui stesso ringrazia e abbraccia nel bellissimo necrologio che si è scritto da solo, dopo essere caduto per la rottura del femore, quello stesso Tornatore che negli ultimi anni si è dedicato anima e corpo alla realizzazione di un documentario sulla sua vita: la meravigliosa sequenza dei baci tagliati di Nuovo cinema Paradiso sarebbe forte la metà senza la musica di Morricone. E si potrebbe andare avanti di film in film, dal primo Il federale di Luciano Salce fino a Voyage of Time di Malick, a sottolineare la differenti e imprevedibili sfaccettature, anche quelle meno conosciute che affondano le note nella sperimentazione dodecafonica e nella musica contemporanea, specie in molti thriller italiani degli anni ’70 (straordinari i suoi lavori con Dario Argento prima che questi passasse al rock dei Goblin).

In quasi 60 anni di attività, Morricone era davvero un tuttofare delle colonne sonore la cui identità sonora era al servizio di un lavoro artigianale capace di cucire i suoni sulle immagini: a volte, come ha scritto Rinaldo Censi, si aveva l’impressione che i registi dessero forma alle sue architetture musicali prima che a quelle narrative. Morricone si è sempre detto al servizio dei registi e degli spettatori: ma la sua arte era così potente che era il cinema a mettersi al servizio delle sue note capaci di tutto.