ENRICO BERLINGUER E LA STORICA “SVOLTA” SULLA NATO

«Italia con la Nato? Mi sento più sicuro stando di qua»: queste parole proferite da Enrico Berlinguer nell’intervista al “Corriere della Sera” del 15 giugno 1976 hanno rappresentato per anni il segno di una (tentata) svolta “filo-Nato” del Partito Comunista Italiano.



L’ex segretario di origini sarde, di cui cui si celebrano in questi giorni i 100 anni dalla nascita, venne più volte contestato dalle frange più “sinistre” del suo partito per quella intervista: come viene raccontato anche all’interno del docufilm di Walter VeltroniQuando c’era Berlinguer”, la scelta del segretario fu considerata una “rottura” importante dei rapporti tra il Partito Comunista Italiano e l’Unione Sovietica. Fu effettivamente così? Il tema è dibattuto fino ai giorni nostri, rinvenuto nelle settimane in cui di Alleanza Atlantica si è tornati a parlare con insistenza per la possibilità di allargare la Nato ad altri Paesi spaventati dalla possibile aggressione della Russia di Putin (nello specifico, Finlandia e Svezia). Ebbene, se da un lato alcuni storici e osservatori ritengono la “svolta” di Berlinguer fondamentale per non spaccare un Paese segnato dal terrorismo degli anni di piombo, dall’altro diversi altri sostengono che non vi fu un vero e proprio “distacco” di Berlinguer dall’URSS.



BERLINGUER E IL PCI “FILO” NATO? ECCO COME ANDÒ

In particolare, lo scrittore Marcello Veneziani nel recente editoriale su “La Verità” sottolinea come «Berlinguer fu mestamente comunista, non lasciò tracce importanti, si oppose alla socialdemocrazia e la storia gli dette torto, considerò il Partito come l’Assoluto […] Avviò sì un graduale distacco dall’URSS ma senza approdare ad una svolta socialdemocratica».

Eppure negli anni Settanta un’uscita come quella di Berlinguer sulla Nato – che fa il paio alla sempre durissima condanna espressa dal segretario Pci contro la repressione della Primavera di Praga dei carri armati sovietici – seppe dare nuovo vigore ad una sinistra non più solo “contrapposta” all’Atlantismo americano, ma con sprazzi di dialogo e confronto sulle tematiche europee e internazionali. A Gianpaolo Pansa che lo incalzava sul timore che la Russia potesse fargli fare la stessa fine di Dubcek in Cecoslovacchia, Berlinguer rispondeva «Noi siamo in un’altra area del mondo… non esiste la minima possibilità che la nostra via al socialismo possa essere ostacolata o condizionata dall’Urss». Ancora più a fondo, l’allora segretario comunista ribadiva come «Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico “anche” per questo, e non solo perché la nostra uscita sconvolgerebbe l’equilibrio internazionale. Mi sento più sicuro stando di qua». Di contro, in quella stessa intervista Berlinguer faceva capire che la sua posizione fosse una sorta di “realismo” che ben teneva distinti “male minore” e giudizio effettivo” su mondo occidentale: «all’Est, forse, vorrebbero che noi costruissimo il socialismo come piace a loro. In Occidente alcuni non vorrebbero neppure lasciarci cominciare a farlo, anche nella libertà». Insomma, Berlinguer – nel pieno del progetto sul “compromesso storico” con la Dc – a pochi passi dalle Elezioni del 1976 volle dare un messaggio chiaro su cosa avesse bisogno l’Italia dell’epoca, e cosa no: l’adesione alla Nato non veniva messo in discussione da Berlinguer, anche se in una intervista tv di quegli stessi giorni ripeteva «questo Patto Atlantico che viene presentato come scudo di libertà è un patto che ha tollerato per anni la Grecia fascista, il Portogallo fascista». Non va dimenticato come nell’ottobre 1973, durante una visita in Bulgaria a Sofia, l’auto di Enrico Berlinguer venne travolta da un camion militare: l’interprete morì al suo fianco, lui si salvò per miracolo. Pur senza avendo mai vere prove, decenni dopò si scoprì che lo stesso Berlinguer temeva di essere stato vittima di un attentato commissionato dall’URSS. Forse anche in questo si può intuire la sua scelta, giocoforza improntata al “male minore” dell’Atlantismo, rispetto al comunismo dittatoriale di Mosca.