Sono trascorsi esattamente cento anni dalla morte di Enrico Caruso, grande tenore originario di Napoli vissuto a cavallo tra il 1800 e il 1900. Caruso è considerato per carisma e temperamento tra i più grandi tenori a livello mondiale. L’aria che più delle altre lo rese famoso fu proprio Ridi, pagliaccio, contenuta all’interno dell’opera lirica Pagliacci composta a fine Ottocento da Ruggero Leoncavallo. In quell’occasione, Caruso diede prova di essere non soltanto un cantante eccelso, ma anche un interprete raffinato, capace di trasmettere tutta la drammaticità dei momenti in cui Canio – il suo personaggio – compie gesti inconsulti in preda all’ira e alla disperazione. I suoi portamenti tendono sempre al lamento, e comunque sia lasciano trasparire quel dolore proprio del personaggio che Leoncavallo seppe caratterizzare in maniera così sopraffina. (agg. di Rossella Pastore)
Storia di un’aria da record
S’intitola Vesti la giubba l’aria più famosa di Pagliacci, opera lirica del 1892 a firma di Ruggero Leoncavallo. Vesti la giubba, in realtà, è più nota come Ridi, pagliaccio, dall’esordio dell’ultima strofa che contiene al suo interno proprio queste parole. Quello di Canio – interpretato in ben tre occasioni da Enrico Caruso – è un canto struggente, dopo la scoperta del tradimento di sua moglie Nedda. Con il morale a terra, Canio è costretto comunque a entrare in scena e a vestire i panni ‘divertenti’ del clown; un clown tragico, grottesco, che si veste di malavoglia e ancor più svogliatamente si dà in pasto al pubblico. L’onestà, però, esige che il suo lavoro sia svolto nel migliore dei modi: la gente ha pagato, e per questo lui sostiene il suo ruolo comico senza mostrare alcun turbamento. Il dramma interiore viene fuori all’improvviso, quando realtà e finzione si mescolano in occasione di un doppio omicidio.
Il testo di Ridi, pagliaccio
Vesti la giubba o Ridi, pagliaccio viene intonata verso la fine di Pagliacci. Il primo tenore a cantarla fu Fiorello Giraud nel 1892, anno di uscita dell’opera. Qualche tempo dopo, Enrico Caruso la portò al successo eseguendola in tre versioni (nel 1902, nel 1904 e nel 1907). La registrazione discografica di Caruso fu il primo disco a superare il milione di copie vendute. Di seguito il testo: “Recitar! Mentre preso dal delirio, / non so più quel che dico, / e quel che faccio! / Eppur è d’uopo, sforzati! / Bah! Sei tu forse un uom? / Tu se’ Pagliaccio!”. Seconda strofa: “Vesti la giubba e la faccia infarina. / La gente paga, e rider vuole qua. / E se Arlecchin t’invola Colombina, / ridi, Pagliaccio, e ognun applaudirà! / Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto / in una smorfia il singhiozzo e ‘l dolor, Ah!”. Finale: “Ridi, Pagliaccio, / sul tuo amore infranto! / Ridi del duol, che t’avvelena il cor!”.