tLA “RIVOLUZIONE” DI ENRICO RUGGERI CONTRO IL MAINSTREAM

Venerdì 18 marzo esce “La Rivoluzione” di Enrico Ruggeri, il nuovo album dell’ex leader dei Decibel, anticipato dal singolo in questi giorni: dalla pandemia ai rapporti, dalla sua generazione alle future, il nuovo lavoro del cantautore milanese si concentra anche sulle tante polemiche sollevate negli anni bui della pandemia da Covid-19.



Intervistato da “QN” e “Corriere della Sera”, Ruggeri si toglie qualche “sassolino” dalla famosa “scarpa”: «Se non avessi preso certe posizioni avrei un’altra situazione economica. Ho un record di messaggi privati di colleghi che mi danno ragione, ma nessuno lo ha fatto in pubblico. Oggi se hai un’idea te la fanno pagare cara. Nel 2019-20 ho fatto sette serate su Rai1 con una produzione che costava meno di tante altre che hanno avuto ascolti più bassi. Mi aspettavo di essere richiamato». Invece, proprio dopo quelle posizioni sulla pandemia – ovvero sulla libertà delle persone importante tanto quanto la salute, così come le perplessità sul sistema di Green Pass – lo hanno di fatto portato a non essere confermato dalla Rai. Sempre al “CorSera” il cantante ritorna su quelle posizioni: «Ho usato parole eccessive. Ma trovo pericoloso abituarsi alle restrizioni. Ci si abitua a tutto, è vero. Con il rischio, però, di atrofizzarsi. Se non avessi usato la parola “schiavitù” sarebbe stato meglio». Tra i brani presentati nel nuovo album anche “La mia libertà” dove Ruggeri lascia una sorta di testamento spirituale: «Racconta di un personaggio che di fronte a censure preventive e riflessi pavloviani sceglie di non parlare più: è la mia lettera di Jacopo Ortis. Ma non ho intenzione di togliermi la vita. E nemmeno di ritirarmi dai social: è uno sfogo».



“IL DISCO SULLA MIA GENERAZIONE”: PARLA ENRICO RUGGERI

Ad Askanews è ancora Ruggeri a raccontare tutti i “passaggi” inseriti nel suo nuovo lavoro legato a stretto filo alla sua condizione personale di cantautore maturo, esperto eppure ancora così curioso nell’affrontare le inquietudini dell’esistenza moderna: «La rivoluzione è il racconto del passaggio dall’adolescenza alla vita vera, con tutti i problemi che questo comporta, con un occhio di riguardo alla mia generazione che è una generazione particolare, ovvero i nati alla fine degli anni Cinquanta, inizi anni Sessanta. Non abbiamo vissuto la parte poetica e romantica del Sessantotto. Siamo passati dal Carosello alle bombe di piazza Fontana. Abbiamo vissuto le Brigate Rosse, il terrorismo, le botte per strada, i lacrimogeni, la parte peggiore della contestazione giovanile. È arrivata l’eroina, poi l’Aids. Ma per contro – ribadisce Ruggeri – i sessantenni di oggi sono quelli che bene o male – direi più male che bene – reggono le sorti del mondo». Non risparmia qualche frecciatina anche ai colleghi della musica italiana, specie i più giovani provando a dare loro qualche consiglio spassionato: «Ho 64 quasi 65 anni e a uno giovane direi che si fanno troppe menate per scrivere cose ovvie. Il primo album dei Led Zeppelin è stato scritto e finito in 5 giorni. La mia generazione scriveva canzoni ma sceglieva fra 5000 parole prima di trovare un aggettivo; ora forse fra 500. I cantautori di oggi al massimo hanno letto Topolino, sempre che sappiano cos’è. Insomma, ragazzi, leggete qualche libro«. I rapper e i trapper scrivono cose toste, conclude Ruggeri al “Corriere della Sera”, eppure «Dostoevskij su un ragazzo che ammazza una vecchia signora ci ha scritto “Delitto e Castigo”, ma è meglio che mi fermi qui…».

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