C’è una foto, verso la fine del “mastodontico” volume (287 pagine di fotografie formato coffee-table) “Jannacci arrenditi, fotoricordi di contrabbando” (Rizzoli & Lizard, 35,00 euro) a cura di Guido Harari, che riprende Enzo Jannacci di spalle, seduto al piano elettrico, di fronte al Duomo di Milano. È una immagine da un concerto del settembre 1986. Davanti al suo Duomo, quello cantato nella canzone omonima (“Il duomo di Milano è pieno d’acqua piovana Ce l’han portata con gli ombrelli Ce l’han portata con i pianti Per la redenzione delle puttane”), mentre lui sta facendo quello che sapeva far meglio: suonare e cantare la nostra povera vita.



E c’è un’altra, bellissima foto proprio alla fine del volume, Enzo Jannacci sul tetto sempre di quel Duomo che spalanca le braccia e guarda sorridendo il cielo lassù. Come se il viaggio fosse finito, come se fosse pronto a spiccare il volo verso quell’infinito a cui aveva anelato per tutta la vita.

Sono solo due delle centinaia di immagini, di appunti, di copertine di dischi, testimonianze, scarabocchi, ricette mediche che si dipanano da quando era bambino piccolo, in braccio ai genitori, mentre gioca a pallone, durante la Prima comunione e poi via via la Milano incandescente degli anni 50 e 60, le foto sul palco con lo scatenato Adriano Celentano, il Derby, il dottore medico chirurgo, la moglie, il figlio, i tantissimi concerti. C’è da viaggiare per giorni e settimane in questo libro che ha il pregio, a parte una breve intro di Harari e una del figlio Paolo, di raccogliere solo parole di Jannacci.



Così, insieme alle sue foto, avremo anche la summa di cosa pensava e desiderava questo grande uomo. Parole che pesano, parole che oggi sono ancora più calzanti di quando le disse allora, perché le parole buone rimangono per sempre e colgono la realtà così come è, in ogni epoca, perché tale rimane nel cuore dell’uomo. Quanto sono importanti pensieri come “Non è vero che un figlio si educa bene o male, lo si educa o non lo si educa” in una epoca di gioventù smarrita senza padri e madri come quella di oggi?

O anche: “Questa società manca di saggi, di padri spirituali che prendano in mano le redini, che governino, insegnino ai giovani che hanno il diritto di avere in mano almeno una possibilità” in un momento storico dove sono scomparsi completamente le guide e gli educatori e ai giovani è stata tolta la capacità di sperare nel futuro?



Ma Jannacci, a fronte del tentativo di ridurlo a un santino buono da contemplare come spesso in questo decennale della sua scomparsa è stato fatto, perché nella vita, si sa, non vogliamo mai farci mettere in discussione, non era un ipocrita, un guitto, un falso, ma uno che diceva sempre la verità. Ad esempio ha detto quello che Milano, la capitale dell’Expo e dei grattacieli, è veramente: “Milano non è mai stata davvero democratica (…) ha cambiato nomi e abitudini ma è sempre la stessa (…) non mettiamoci a evocare il milanese col cuore in mano, perché non è mai esistito: è una invenzione dei tassisti”.

A epitaffio di questo gigante restano parole che quelli che si chiedono perché la gente di cultura e di spettacolo è tutta di sinistra, dovrebbero imparare a memoria e chiedere scusa: “Io non sono un bolscevico, resto un sognatore: ma sto sempre dalla parte di chi fa fatica a vivere e se la carità sta a sinistra, io sono di sinistra”.

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