Marina Corradi su ‘Avvenire’ decide di approfondire un lato forse meno conosciuto del medico Servo di Dio Enzo Piccinini, tornato ultimamente alle cronache nazionale per il meraviglioso libro di Marco Bardazzi “Ho fatto tutto per essere felice. Enzo Piccinini, storia di un insolito chirurgo”: negli Anni Settanta la situazione in Italia a livello politico non era “tesa” ma letteralmente incendiaria. «Si riunivano in una casa detta l’’appartamento’. Un gran viavai di giovani, cortei, slogan. Tanti parlavano e basta. Ma anche Prospero Gallinari, carceriere di Aldo Moro, e Alberto Franceschini, tra i fondatori delle Br, uscirono da quel vivaio.
Sorprende quindi la storia di un ragazzo emiliano che frequentava quello stesso appartamento, quel giro, e poi invece è diventato un medico, e un ‘figlio’ molto caro di don Giussani. Si è sposato, quel ragazzo, ha avuto figli, è stato un eccellente chirurgo e un medico molto amato: poi è morto, ad appena 48 anni, nel 1999», scrive la Corradi ricordando la figura di Piccinini e i primi passi di quel giovane futuro medico nell’esperienza di Comunione e Liberazione. Molti da Gs (Gioventù Studentesca, l’antesignano di Cl fondato da Don Luigi Giussani) se ne andarono dopo il 68, ma quel chirurgo emiliano no, rimase affascinato dallo sguardo diverso che l’esperienza cristiana testimoniata dal sacerdote brianzolo si mostrava anche nella “lettura” di quegli anni difficilissimi.
PICCININI, AMICO DI FUTURI BRIGATISTI E SERVO DI DIO
Piccinini si laurea e si lega professionalmente ad un primario che diventa il suo maestro: ben presto però capisce che è un cinico. «Cose da ragazzi», diceva il professore delle speranze dell’allievo, riporta ancora il bel articolo di presentazione dell’Avvenire. Il giovane medico abbandona così il maestro per seguirne un altro di cui dirà anni dopo «chi mi ha insegnato a fare il medico è Giussani». Non tanto la tecnica, ovviamente, ha imparato da quel sacerdote ma lo sguardo: «il paziente è prima di tutto una persona. È uno da ascoltare, da accompagnare, da curare nel migliore dei modi». Non aveva paura della morte Piccinini: o meglio, aveva imparato da Don Giussani e dagli altri amici incontrati in gioventù che la vita avesse in se stessa il limite del “finito”.
Ai suoi studenti ripeteva il chirurgo divenuto poi di fama mondiale già da quarantenne, «Che io muoia, che voi moriate è un’assoluta verità». Nei giorni in cui con il Covid si è tornati a “riflettere” sulla presenza della morte nelle nostre vite, Enzo Piccinini è un “maestro” da cui poter imparare anche se lui per primo se “ne andò” prima di quanto si potesse attendere: morto in un incidente stradale nel 1999 all’età di 49 anni, ma non per questo “inutile” per noi oggi nell’affrontare il tempo della pandemia. Scrive bene Marina Corradi, «Un libro, questo, da regalare agli studenti di medicina, perché si chiedano quali medici vogliono essere, e anche ai primari e ai luminari, perché si domandino quali medici sono diventati». Da “potenziale” brigatista a medico-insegnante che educava i futuri dottori che i pazienti, prima di tutto, sono persone.