Enzo Tortora, tra i conduttori televisivi più famosi e volto della trasmissione di successo Portobello, è ricordato non solo per il suo spessore professionale ma anche per il caso di malagiustizia che lo vide tristemente protagonista. Vittima di uno degli errori giudiziari più clamorosi della nostra storia e costretto a subire una gogna mediatica senza precedenti. Arrestato, mostrato in manette davanti a un intero Paese, sommerso di accuse e processato, infine assolto dopo un incubo scioccante che non si sarebbe mai aspettato: è così che Enzo Tortora ha vissuto gli ultimi anni della sua esistenza, riuscendo a dimostrare la sua innocenza, riconosciuta definitivamente in Cassazione, appena un anno prima della sua morte.
Enzo Tortora fu accusato di traffico di stupefacenti e di associazione a delinquere di stampo mafioso, in particolare di aver fatto parte della Nuova Camorra Organizzata con a capo il boss Raffaele Cutolo. Condannato in primo grado, nel 1986 fu assolto in secondo grado e con formula piena, sentenza confermata in Cassazione nel 1987. L’odissea di Enzo Tortora durò circa tre anni e mostrò al mondo le falle e le criticità del sistema giudiziario. Un sistema che, nel suo caso, spedì in cella un innocente sulla base di testimonianze di pentiti poi rivelatesi false.
Enzo Tortora, la vicenda giudiziaria dall’arresto all’assoluzione definitiva
Enzo Tortora è sicuramente la vittima di malagiustizia più famosa in Italia. Conduttore brillante e amatissimo dal pubblico, il “galantuomo” della tv ha condotto una delle trasmissioni di maggior successo del piccolo schermo, Portobello, ed era al timone del programma quando per lui iniziò l’incubo giudiziario culminato nel processo e nella sua definitiva assoluzione. Vittima di un clamoroso errore e di una gogna mediatica senza precedenti che lo vide finire in prima pagina sui giornali, in manette, accusato di affiliazioni con la criminalità organizzata e di traffico di droga. Enzo Tortora fu arrestato all’alba del 17 giugno 1983 mentre si trovava nel celebre Hotel Plaza di Roma, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dalla Procura di Napoli. Le immagini di quel drammatico momento fecero il giro delle cronache imprimendosi nella storia come istantanee del più clamoroso, sconvolgente e vergognoso errore giudiziario mai registrato nel Paese. Il conduttore fu portato in caserma, accusato di associazione di tipo mafioso e traffico di stupefacenti.
Secondo gli inquirenti, Enzo Tortora sarebbe stato affiliato alla NCO, la Nuova Camorra Organizzata del boss Raffaele Cutolo. Un impianto di contestazioni fondato sulle dichiarazioni di alcuni pentiti, poi rivelatesi false testimonianze, e sul ritrovamento, nell’abitazione di un camorrista, di un’agendina contenente un appunto: un cognome, “Tortona” (scambiato in sede di indagini per “Tortora”, come dimostreranno le analisi calligrafiche) e un numero di telefono (recapito non appartenente al presentatore). Nel 1984, trascorsi sette mesi di reclusione, Enzo Tortora fu scarcerato. Ma il 17 settembre 1985, in primo grado, il processo portò a una condanna a 10 anni. Nelle more del dibattimento, il conduttore fu eletto eurodeputato e si dimise il 31 dicembre 1985, rinunciando all’immunità parlamentare, per restare agli arresti domiciliari. La sua innocenza fu dimostrata e riconosciuta in tribunale il 15 settembre 1986, quando la Corte d’Appello di Napoli pronunciò la sentenza di assoluzione. Un esito confermato dalla Cassazione il 13 giugno del 1987, quasi un anno prima della morte di Enzo Tortora (avvenuta per un cancro ai polmoni il 18 maggio 1988). Dopo essere stato assolto, il presentatore tornò in onda nella sua popolare trasmissione Portobello aprendo con un discorso memorabile e un inciso diventato simbolo del suo dramma: “Dunque, dove eravamo rimasti?“. Ripartendo da lì, da dove tutto si era interrotto prima dell’incubo, Tortora parlò al suo pubblico prima di riprendere le redini della trasmissione, il volto segnato dall’inferno vissuto ingiustamente e dalla tenerezza per chi lo ha sempre sostenuto nella sua battaglia: “Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo ‘grazie’ a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto, e un’altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta“.