Uno studio tutto italiano condotto dall’Università di Genova e dall’IRCCS del locale nosocomio San Martino potrebbe dare una nuova speranza a tutti i malati di epilessia che non riescono a trovare nessun beneficio concreto dalle attuali terapie farmacologiche approvate ed utilizzate su larga scala: un’innovazione che non è del tutto una novità dato che si tratta concretamente del perfezionamento di una terapia che è già stata sviluppata e che attualmente prevede un intervento molto invasivo e – talvolta – non risolutivo; il tutto (e questa è una novità) sfruttando la capacità di illuminarsi tipica delle lucciole e di alcuni animali marini.
Patendo dal principio è bene ricordare che in tutto il mondo attualmente si stima che più di 50 milioni di persone siano affette da epilessia – di cui poco più di 550mila nel solo nostro bel paese – che devono convivere con una stimolazione eccessiva dei loro neuroni ogni volta che vengono sottoposti a luci intermittenti, compromettendo a lungo termine la funzionalità del cervello e a breve termine la vita di tutti i giorni: tra questi 50 milioni di pazienti, peraltro, circa un terzo non risponde alle cure farmacologiche ed è proprio a loro che si rivolge la nuova terapia italiana.
Come funziona la terapia italiana con le lucciole per l’epilessia
Prima di entrare nel dettaglio, è bene precisare che i risultati di cui parleremo sono frutto di studi condotti in vitro e che sono ancora distanti dalla fase clinica della sperimentazione umana, con l’ovvia conseguenza che per vedere commercializzata la nuova terapia italiana per l’epilessia passeranno ancora diversi anni; ma comunque sia i dati sono veramente incoraggianti perché i ricercatori sono riusciti ad ottenere una riduzione di circa “3 volte” nel numero di crisi epilettiche, accompagnata anche da una “riduzione del 32%” della loro durata rispetto alla media dei pazienti.
Come si è arrivati a questo risultato? Come accennavamo in apertura la soluzione per l’epilessia potrebbe nascondersi – almeno secondo i ricercatori genovesi – nelle lucciole ed in particolare nella loro bioluminescenza: questa è mediata da un enzima che si chiama luciferasi e verrebbe introdotto con una modifica neuronale (del tutto sicura) all’interno dei pazienti affetti da epilessia. Una volta introdotta la luciferasi, con un attivatore farmacologico si riesce a stimolare la produzione di opsine che – a loro volta – riescono a controllare la sovrastimolazione neuronale in occasione delle crisi epilettiche, riportandola alla normalità.