“Totale indecenza e totale maleducazione”: il sultano di Turchia ha atteso giorni per ricevere scuse ufficiali dall’Italia dopo che il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, lo ha definito un “dittatore”. Scuse chieste ufficialmente tramite il nostro ambasciatore, ma mai arrivate. Come nel suo stile, quello di un personaggio abituato a non accettare critiche, il presidente turco ha proseguito dando del tu a Draghi e parlando di se stesso in terza persona, come appunto un sultano: “Prima di dire una cosa del genere a Tayyip Erdogan devi conoscere la tua storia, ma abbiamo visto che non la conosci. Sei una persona che è stata nominata, non eletta”. Non sopporta di essere messo sotto accusa un uomo che ha fatto uccidere o incarcerare nel suo paese migliaia di persone, che ha sostenuto l’Isis per i suoi piani espansionistici.
Secondo Michela Mercuri, esperta di Libia e docente di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei nell’Università di Macerata, “Draghi ha dimostrato di non aver paura di lui, ha detto quello che ha detto non per ingenuità, ma perché assolutamente convinto”. Un gesto coraggioso, finalmente, da un nostro rappresentante, “nei confronti di attori considerati aggressivi come la Russia e appunto la Turchia, che grazie alla distrazione italiana e alla silente Europa si sono impossessate di porzioni di Nord Africa e del Medio Oriente”.
Erdogan risponde a Draghi solo adesso, forse infuriato perché, nonostante la richiesta all’Italia, le scuse non sono mai arrivate?
Le scuse da parte italiana non sono mai arrivate perché Draghi, dopo averci pensato, ritiene di non avere affatto sbagliato. È convinto della definizione di “dittatore” da lui affibbiata a Erdogan. È anche convinto di quello che ha dichiarato dicendo che con un dittatore è possibile fare affari.
Quindi Draghi non si è espresso in quel modo per ingenuità o scarsa cultura politica, ma consapevolmente?
Draghi ha parlato in maniera assolutamente consapevole per tanti motivi. In primo luogo, per rafforzare l’asse atlantico Italia-Usa e per rendere finalmente l’Unione Europea più forte e più consapevole. Ma anche per riequilibrare i rapporti con quegli attori considerati aggressivi come la Russia e appunto la Turchia, che grazie alla distrazione italiana e alla silente Europa si sono impossessati di porzioni di Nord Africa e del Medio Oriente.
Draghi ha voluto aprire un fronte con la Turchia per via della concorrenza in Libia? Erdogan ha detto recentemente che Ankara continuerà a fornire armi nonostante gli accordi di pace che si sono avviati.
Per quanto riguarda la Libia Draghi sa che in quel teatro, se mettiamo sul piatto della bilancia un accordo e uno scontro economico per gli appalti di ricostruzione e per quelli energetici, la seconda opzione è la più probabile. Erdogan avrebbe comunque incontrato una delegazione libica per mettere il suo marchio su affari energetici e business della ricostruzione che aveva già posto in essere con al Serraj. E avrebbe comunque cercato di difendere tutto ciò che ha conquistato in Libia, come la zona economica esclusiva tra le acque libiche e quelle turche e il porto di Misurata, a prescindere dalla dichiarazione del nostro premier.
In passato Erdogan si era scontrato apertamente con Macron, ma non si erano registrate particolari conseguenze. Adesso invece?
C’è sempre una grossa differenza tra il dire e il fare in politica, i politici amano mostrare i muscoli. Erdogan disse che Macron aveva dei problemi mentali e altro ancora anche in passato contro Israele ed Egitto. Ma da un lato ci sono le parole, dall’altro i fatti. Dobbiamo ricordare che l’Italia ha 18 miliardi di euro annui di interscambio commerciale, 1.500 imprese che lavorano in Turchia e nel 2020 siamo stati il primo paese per investimenti. Quanto sta accadendo fa parte del gioco politico, è chiaro che in questo momento c’è grande tensione con promesse di ritorsioni che ci possono costare fino a 70 milioni come nei confronti dell’azienda Leonardo. È tutto da vedere. L’economia spesso è quella che vince.
L’Unione Europea ha preso le distanze da Draghi, ma sul caso sofagate è stata invece dura. Come si spiega questa differenza di atteggiamento?
Più che prendere le distanze l’Unione Europea, come sempre, è rimasta in silenzio, tace sulla Turchia da tanto tempo. È una Ue che paga la Turchia 3 miliardi di euro all’anno per tenere fermi i migranti, ma non ha spina dorsale e ha permesso alla Turchia e ad altre potenze di fare il bello e brutto tempo nel Mediterraneo. Un atteggiamento che trovo discutibile e opinabile. Se vorrà farsi valere, la Ue dovrà cambiare completamente atteggiamento, costruendo un asse con gli Usa contro attori aggressivi come la Turchia, la Russia e gli Emirati Arabi.
E il caso sofagate?
È stata dura nel caso del sofagate perché è facile fare i duri in un caso che è semplice. È stata una gaffe diplomatica del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, più che di Erdogan. L’Europa ne è uscita divisa e balbettante, è stato un caso che non ha messo in cattiva luce Erdogan ma ha messo in cattiva luce l’Europa.
Il segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, ha detto a Di Maio che l’America è preoccupata per la presenza di forze straniere in Libia. Si può parlare di supporto americano all’Italia?
Il fatto che Biden abbia chiamato l’amico/nemico Putin un assassino sembra significare che gli Usa vogliano fare un asse con l’Italia per fermare lo strapotere di queste potenze, cosa che abbiamo finora permesso. Se questo rapporto con gli Stati Uniti continuerà, potrà avviare un riequilibrio nello scacchiere internazionale capace di marginalizzarle. Stiamo parlando di una Turchia che ha seri problemi interni, così come la Russia. Questo asse potrebbe funzionare se manterrà una sua coerenza e se dietro ci saranno una Unione Europea e soprattutto una Francia allineate con l’Italia.
Quali conseguenze dobbiamo aspettarci se la crisi Italia-Turchia andrà avanti? Fronte migratorio, caos in Libia, rapporti commerciali?
Col tempo questa crisi potrebbe rientrare alla luce dei tanti interessi economici di cui abbiamo detto. Se non dovesse avvenire, sicuramente la Turchia potrebbe rivalersi aprendo per esempio il rubinetto dei migranti. Di quelli che sono in Libia ma anche di quelli oggi assiepati lungo la rotta balcanica. Sul fronte dei rapporti commerciali, come detto, sarebbe un problema per tutti e due i paesi, meglio sarebbe chiudere il caso. Certamente si aprirebbe un agone tra Italia e Turchia per la ricostruzione della Libia, dove coltiviamo le stesse intenzioni di partnership privilegiate nel settore dell’energia e della ricostruzione.
(Paolo Vites)
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