La questione dell’eredità Sordi si è fatta subito rovente. Per anni si è parlato degli eredi Sordi, del grande patrimonio culturale e finanziario della maschera della comicità italiana almeno fino a qualche tempo fa, quando le prime risposte sono arrivate e anche il grande Albertone ha iniziato a riposar in pace. Il grande attore romano scomparso il 24 febbraio del 2003 aveva lasciato il suo patrimonio alla sorella Aurelia, morta nel 2014 a 97 anni ma la vicenda giudiziaria sull’eredità è iniziata ancora prima quando la signorina era finita al centro di un’inchiesta su un presunto tentativo di circonvenzione proprio ai suoi danni. Il processo, che vedeva accusati alcuni professionisti tra notai e avvocati, comprendeva anche lo storico autista e factotum di casa Sordi, l’ormai famoso Arturo Artadi. Secondo la Procura proprio lui, insieme agli altri professionisti, aveva approfittando delle condizioni di salute della sorella di Alberto Sordi per mettere le mani sull’eredità.  con nove assoluzioni il processo di primo grado scaturito dall’inchiesta su un presunto tentativo di circonvenzione della donna.



LA QUESTIONE DELL’EREDITA’ TRA DENUNCE E SOLDI

Qualche mese fa, l’autista, il notaio, gli avvocati e la servitù, per un totale di nove persone, sono stati assolti dal giudice Maria Elena Mastrojanni in quanto il fatto non sussiste e non c’è stato il raggiro da 2,3 milioni di euro ai danni di Aurelia Sordi. L’altra faccia della medaglia riguarda gli “eredi Sordi” e la decisione della “signorina Aurelia” di destinare tutto il patrimonio alla “Fondazione Museo Alberto Sordi” con cui si è deciso di trasformare la villa, dove “Albertone” visse dal 1958 alla morte, in un museo commemorativo. Ad impugnare la decisione sono state ben 37 persone, tra nipoti e pronipoti, che, all’inizio di quest’anno, si sono visti dire di no. Lo scorso febbraio è arrivata la sentenza del Tribunale di Roma con cui si respingono tutte le istanze presentate dagli eredi dando il via libera alla realizzazione del museo all’interno della villa giudicando pienamente legittima la disposizione di Aurelia Sordi che “al momento dell’atto era lucidissima”.

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