La Cassazione ha deciso. Il ricorso di Cesare Battisti non è passato. Condannato all’ergastolo in Italia, l’accordo con il Brasile per la sua estradizione prevedeva la riduzione della pena a 30 anni, che è il massimo previsto dal codice del Paese dove si era rifugiato. C’è un problema: Battisti fuggendo in Bolivia e facendosi catturare lì non può reclamare un patto che lui sottraendosi alla giurisdizione brasiliana ha tradito. La logica lo dice, non c’entra nulla la rivalsa. Guai se i giudici della nostra suprema corte avessero sentenziato in base all’opportunità politica. E a questo punto conviene anticipare le polemiche che presto o tardi scoppieranno quando il detenuto ergastolano Battisti chiederà di usufruire della legislazione “premiale”, che – come ha stabilito la Corte Costituzionale il mese scorso – si applica sempre, perché è disumano negare permessi ad personam sulla base dell’antica ferocia dei delitti compiuti.



Fino a poco tempo fa l’“ergastolo ostativo” in vigore per mafiosi e terroristi impediva l’applicazione di queste misure tese a umanizzare la pena e a rieducare qualunque detenuto, secondo il dettato dell’art. 27 della Carta, purché non risultasse sospetto di tessere disegni criminali.

Guai a scandalizzarsi oggi se Battisti ha fatto ricorso, e questo valga anche per qualunque sua iniziativa per accorciarsi e alleviare la pena. Non sarà la sofferenza di un assassino a far girare meglio il mondo e a dare sollievo autentico alle vittime e neppure ai loro congiunti. Non è questione di mollezza contro rigore, ma del rispetto che tutti dobbiamo alla comunità in cui viviamo e alle sue leggi sovrane.



Bisogna riconsiderare le cose dall’origine, andando all’essenza della questione. Cesare Battisti è un uomo, ovvio si dirà. Ma è il caso di ricordarcelo. Non è un simbolo di alcunché, ma è un uomo con un nome e cognome. Non è l’emblema del terrorista che ha ucciso a sangue freddo e per lunghi anni l’ha fatta franca, ed ora raffigura con la sua faccia antipatica e reclusa la vittoria della giustizia, per cui tiè, si vergognino coloro che non si sdegnano per i suoi tentativi di addolcire la sua condizione carceraria. È un uomo, un uomo recluso, ma un uomo. Non è neppure il prototipo che taluni mitizzano dell’ideale rivoluzionario e del perseguitato indocile. Battisti è un uomo; un colpevole; una persona colpevole e perciò privata della libertà. Pentito o no non possiamo avere la pretesa di saperlo, né di modulare la pena già decretata sulla percezione che abbiamo della sua coscienza contrita.



In uno Stato di diritto quale la nostra Repubblica vuole essere io credo debba essere riconsiderata la stessa pena dell’ergastolo. Papa Francesco ha detto e ripetuto ancora lo scorso 18 settembre: “L’ergastolo non è la soluzione dei problemi – lo ripeto: l’ergastolo non è la soluzione dei problemi, ma un problema da risolvere. Perché se si chiude in cella la speranza, non c’è futuro per la società. Mai privare del diritto di ricominciare!”. Vale anche per Battisti? Vale anche per me!