Mentre gli italiani continuano ad interrogarsi sulla vicenda che vede coinvolto l’ex giudice di Mani Pulite Davigo per la ricezione prima e la diffusione poi di verbali coperti dal segreto contenenti dichiarazioni su logge coperte e centri di potere, cercando di capire se si è o non si è cercato di coprire fatti illeciti e mentre la ministra Cartabia inizia a faticare nel tenere unita la maggioranza sulla riforma del processo penale e dell’ordine giudiziario, la Corte costituzionale ha pubblicato l’ordinanza con cui il 15 aprile scorso aveva affermato l’incompatibilità dell’ergastolo ostativo con la Costituzione, dando un anno di tempo al Parlamento per riformulare la norma, in considerazione della valutazione, francamente più che comprensibile, che l’accoglimento immediato delle questioni avrebbe rischiato di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata.



La sentenza, come noto, ha destato un certo clamore e soprattutto era stata preceduta da una tambureggiante campagna mediatica che mirava a scongiurare l’accoglimento della questione di incostituzionalità, paventando favori alla mafia e violazione della memoria dei caduti. In realtà, come già in altre occasioni abbiamo cercato di fare da queste pagine, occorre fornire all’opinione pubblica una ricostruzione più lucida e non ideologizzata di una decisione che risultava, almeno per gli studiosi più attenti, praticamente scontata in considerazione del fatto che sulla questione si era già pronunciata la Corte europea e lo stesso giudice delle leggi.



Poco corrette ovvero di enorme enfasi appaiono quindi affermazioni come quelle per cui irriducibili mafiosi condannati all’ergastolo ostativo, come i fratelli Graviano o Leoluca Bagarella, potranno ora facilmente uscire dal carcere, dovendosi ribadire che né la Corte europea, né tanto meno la Corte costituzionale hanno abolito l’ergastolo ostativo ma hanno semplicemente affermato come le norme che lo regolano appaiono in violazione dei diritti umani e della nostra Costituzione unicamente nella parte in cui non si prevede altra strada per la revoca dell’ostatività dell’ergastolo della strada della collaborazione.



Sia il nostro giudice delle leggi che quello convenzionale si è pertanto esclusivamente pronunciato sull’unico meccanismo di deroga all’ostatività che la nostra normativa aveva previsto, agendo in considerazione della presa d’atto che non per tutti i soggetti sottoposti al regime ostativo può essere imposta la strada della collaborazione. Non secondario appare infatti segnalare all’opinione pubblica come al predetto regime di ostatività siano condannati non solo i capi delle organizzazioni mafiose ma anche gregari di seconda o terza fila la cui caratura criminale non può essere di certe paragonata a quelle dei loro capi.

L’ergastolo ostativo quindi non è stato affatto abolito, per fortuna, ma si è chiesto al legislatore di voler predisporre un regime normativo più articolato, in grado, aggiungiamo noi, di consentire al giudice una maggiore discrezione nella valutazione della permanenza della ostatività. La norma che il Parlamento dovrà riscrivere entro il 10 maggio dell’anno prossimo è l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario che attualmente vieta ai condannati al fine pena mai per fatti di mafia e terrorismo di accedere alla liberazione condizionale tranne che se essi non decidano di collaborare con la magistratura.

Come chiarito dalle motivazioni della sentenza, la Corte costituzionale ha ritenuto che il meccanismo della collaborazione in cambio della libertà, può assumere una portata drammatica allorché obbliga a scegliere tra la possibilità di riacquisire la libertà e il suo contrario, cioè un destino di reclusione senza fine. Ciò non significa affatto, ha correttamente chiarito la Corte, svalutare il rilievo e utilità della collaborazione, intesa come libera e meditata decisione di dimostrare l’avvenuta rottura con l’ambiente criminale, e che certamente mantiene il proprio positivo valore, riconosciuto dalla legislazione premiale vigente, qui non in discussione. Significa, invece, negarne la compatibilità con la Costituzione se e in quanto essa risulti l’unica possibile strada, a disposizione del condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale.

Attenzione, secondo i giudici costituzionali, per i condannati all’ergastolo a seguito di reati connessi alla criminalità organizzata, la disciplina dell’ostatività, da una parte eleva la utile collaborazione a presupposto indefettibile per l’accesso (anche) alla liberazione condizionale, dall’altra ben può sancire, a carico del detenuto non collaborante, una presunzione di perdurante pericolosità, dovuta alla mancata rescissione dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata, ma tale presunzione non può essere assoluta, perché non superabile da altro se non dalla collaborazione stessa. Come dire, che la presunzione può certamente perdurare nel nostro sistema ma deve poter essere superabile anche attraverso altri elementi o valutazioni; elementi e valutazioni che, una volta riscritti dal legislatore, saranno di volta in volta rimessi alla decisione del giudice. Deve quindi essere spiegato che l’incompatibilità con la Costituzione, che fa seguito alla sancita incompatibilità con la Convenzione dei diritti dell’uomo, si manifesta nel carattere assoluto di questa presunzione poiché, allo stato, la collaborazione con la giustizia è l’unica strada a disposizione dell’ergastolano ostativo per accedere al procedimento che potrebbe portarlo alla liberazione condizionale. D’altronde, hanno affermato i nostri giudici costituzionali, la collaborazione con la giustizia non necessariamente è sintomo di credibile ravvedimento, così come il suo contrario non può assurgere a insuperabile indice legale di mancato ravvedimento: la condotta di collaborazione ben può essere frutto di mere valutazioni utilitaristiche in vista dei vantaggi che la legge vi connette, e non anche segno di effettiva risocializzazione, così come, di converso, la scelta di non collaborare può esser determinata da ragioni che nulla hanno a che vedere con il mantenimento di legami con associazioni criminali.

Benché aspramente critica da molti giuristi, non azzardata appare poi la scelta di mettere in mora il legislatore, ovvero di invocare un suo intervento risolutivo della questione poiché, altrimenti, una dichiarazione di incostituzionalità sic et simpliciter avrebbe essa sì prodotto un azzeramento della disciplina con conseguente liberi tutti, senza distinzioni di sorta, tanto ai gregari quanto ai grandi capi delle consorterie criminali. Per la verità, il legislatore ben avrebbe potuto in questi ultimi due anni prendere atto delle precedenti decisioni della Corte europea e della stessa Corte costituzionale, intervenendo con una nuova architettura della disciplina dell’ergastolo ostativo ma, evidentemente, una simile presa di coscienza con annesso atto di coraggio non è forse patrimonio del nostro Parlamento, ora alle prese con la pandemia, due anni fa, invece, in altre faccende affaccendato.

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