Il tempo è galantuomo, dice il vecchio saggio. “Il nostro dovere è combattere la buona battaglia fino alla fine dei nostri giorni” ama dire Eric Andersen citando San Paolo (“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”). Combattere la battaglia della vita per lottare contro l’ostilità in se stessi e nelle cose che ci circondano, rimanendo fedeli a sé stessi (“be true to yourself”).



Nonostante le immense doti artistiche che ne fanno una figura di spicco assoluto della canzone d’autore americana, definito da Bob Dylan “il più grande autore di ballate”, Andersen non ha mai colto il successo commerciale che meritava, ma questo non lo ha mai fatto smettere di combattere la sua battaglia, ancora attivo oggi a quasi 80 anni di età. E il tempo gli ha dato, almeno in parte, quello che meritava: tre anni fa il bellissimo film documentario The songpoet, in cui viene dispiegata la sua lunga carriera tra immagini e il commento di tanti illustri colleghi. Adesso un triplo cd con il medesimo titolo che raccoglie 42 sue interpretazioni da parte di nomi come Bob Dylan, Mary Chapin Carpenter, Linda Ronstadt, Janis Ian, Lenny Kaye e tanti altri.



Le gemme contenute sono tante, tantissime, che permettono di rivivere con freschezza e passione quel mondo antico e apparentemente scomparso che fu l’esperienza del folk revival, in un tripudio di corde d’acciaio e armonie celestiali. Cominciando ovviamente dall’amico Bob Dylan alle prese con il brano più conosciuto di Andersen, Thirsty boots, versione differente e fino a oggi inedita rispetto a quella già apparsa nel cofanetto dedicato a Selfportrait.

A chi scrive piacciono in particolare la bravissima Joyce Andersen (nessuna parentela), multi strumentalista che ha collaborato fra i tanti con lo stesso Andersen e Richard Thompson, alle prese con una intensissima versione voce e pianoforte di una delle tante gemme dimenticate del cantautore, For what was gained, accorata ballata dedicata ai ragazzi morti nel Vietnam pubblicata nel suo disco del 1968 Avalanche. Altro momento particolarmente prezioso è la intensa Is it really love at all interpretata della splendida voce calda di Alice Howe. Scoprendosi delicato songwriter acustico Lenny Kaye rilegge un altro brano dimenticato dai più, Miss lonely are you blue, tratta da quel manifesto del folk psichedelico che fu l’album More hits from Tin Can Alley del 68.



Cugino del chitarrista di Red Hot Chili Peppers e Jane’s Addiction Dave Navarro, Dan Navarro rilegge con intatta eleganza il meraviglioso classico dei 70s Moonchild river song mentre la leggendaria Janis Ian, autrice della prima canzone di amore interrazziale, Society’s child, fa sue le tinte scure e malinconiche di Hills of Tuscany con lo stesso andamento visionario. Non poteva mancare un cantautore che deve moltissimo a Eric Andersen: John Gorka adorna con le sue tipiche accordature ardite il capolavoro Come runnin’ like a friend, mentre Happy Traum dall’altrettanto tocco di chitarra e mandolino unici si impossessa della folk ballad Mary I’m comin’ back home. Di classe immensa è la figlia di Levon Helm, Amy, che dà un tocco rurale e vintage al classico Blue River: il padre e il resto di The Band sarebbero stati orgogliosi.

Già pubblicate in passato sono Faithful da parte di Linda Ronstadt, con il suo andamento tipicamente californiano early 70s, e Violets of dawn da Mary Chapin Carpenter, che rende onore a uno dei manifesti del folk revival. Totalmente a loro agio, Larry Campbell e la moglie Teresa Williams si calano nelle atmosfere eleganti di Foghorn, mentre Willie Nile rende giustizia all’epica Rain falls down in Amsterdam. Con la sua voce profonda e accattivante, Elliott Murphy paga tributo all’amico con un brano poco noto, Cold country, deliziosamente country-pop. Infine citiamo ancora Albert Lee, leggendario chitarrista dalla Hot Band di Emmylou Harris e a fianco di Eric Clapton, con la suadente Salt on your skin.

Citazione a parte la meritano le “donne” di famiglia, se non altro per il legame affettivo con Andersen. Sari Andersen, figlia maggiore, e la prima moglie Debbie Greeen si cimentano in una bella Listen to the rain; Signé Andersen, avuta dal suo matrimonio norvegese, si produce in una jazzata e moderna Driftin’ away e infine l’attuale moglie Inge sceglie la non facile Round the bend (da Blue river) nobilitandola della sua bella voce.

Ma c’è ancora tanto da scoprire in questo disco. Come nella vita, siamo sempre in viaggio, combattendo la buona battaglia. Che queste canzoni ci diano la forza.