Quasi quattro anni chiuso in casa a farsi di eroina e a guardare la televisione. Così Eric Clapton si era ridotto nel periodo tra il 1970 e la fine del 1973, mantenendo fede a una sciagurata promessa d’amore. Il chitarrista inglese, infatti, si era innamorato perdutamente della moglie del suo miglior amico, George Harrison, la quale gli aveva manifestamente detto di no. “Se mi rifiuti, mi farò di eroina” aveva detto lui e così fece.



A tirarlo fuori dal buco nero fu un altro amico, il chitarrista degli Who, Pete Townshend, che lo convinse a ricoverarsi e poi gli organizzò un concerto con tanti altri amici ospiti che doveva segnare il suo ritorno alla musica. Quello che una volta era stato acclamato come “Dio” sui muri delle strade di Londra, era adesso un relitto del passato. I suoi ultimi dischi di canzoni nuove risalivano al 1970, il capolavoro Layla (dedicato al suo amore infranto) e il primo da solista.



Clapton, però, si sarebbe ripreso pubblicando nel luglio di 50 anni fa uno dei suoi dischi migliori di sempre e un dei suoi più grandi successi commerciali. Era tornato davvero.

Fondamentale fu il sito scelto per registrare, gli studi Criteria di Miami in Florida, dove aveva già registrato Layla e anche lo stesso produttore, il mago del blues e dell’R&B Tom Dowd. Ma non sarebbe stato un disco di solo blues questa volta.

La sua nuova casa discografica lo fece ospitare in una splendida villetta sul mare, poco lontano da Miami, a Glen Beach. La casa si trovava all’indirizzo 461 Ocean Boulevard. Un Clapton estremamente rilassato assorbì i benefici del luogo e del clima e individuò dei nuovi accompagnatori, su tutti il chitarrista George Terry e la cantante Yvonne Elliman, una delle voci del cast teatrale di Jesus Christ Superstar.



Clapton, già in passato, si era detto stufo di essere considerato solo un super chitarrista e basta (“Per la maggior parte degli anni ’70, ero contento di rilassarmi e fare quello che dovevo fare con il minimo sforzo. Ero molto grato per essere vivo, non volevo spingere. Ero anche stanco di suonare la chitarra. E non solo ero stanco di me stesso, sembrava che l’avvento di Cream e Led Zeppelin avesse svegliato un intero spettro di chitarristi che volevano solo bruciarsi all’infinito. Più ne sentivo parlare, più mi volevo ritirare“, disse) e infatti le parti soliste in questo disco sono minime. Come avrebbe fatto per tutto il decennio, produsse un album dal groove sensuale ed elegante, pescando tra classici della sua musica preferita, il blues (I can’t hold out di Willie Dixon, Steady Rollin’ Man di Robert Johnson, un vecchio tradizionale come Motherless children che lui trasformò in una roboante versione incendiaria), un paio di soffici gospel di sua mano (Give me strenght e l’incantevole ballata Let it grow), lasciando anche spazio al suo chitarrista per Mainline Florida, un torrido rock.

Ma c’era qualcosa d’altro che avrebbe trascinato questo disco in cima alle classifiche.

A quei tempi, il reggae era un genere musicale ancora di culto, privilegio dei giamaicani di casa e di quelli che vivevano a Londra. Caratterizzato da un ritmo distintivo, il reggae si distingueva per il suo tempo sincopato, con l’accento posto sul secondo e quarto battito di ogni battuta, e l’uso prominente del basso e della batteria. Questo stile musicale traeva le sue origini dal rocksteady e dallo ska, ma si distingueva per il ritmo più lento e rilassato. Un giamaicano purosangue di nome Bob Marley lo stava trasformando in qualcosa di nuovo, dove il ruolo del basso predominava su quello della chitarra suonata in levare, i ritmi erano più accentuati, la lentezza ipnotica prodotta dall’uso smisurato di marijuana e la ballabilità si erano fatti essenziali.

Durante la registrazione del disco, George Terry diede a Clapton una copia dell’ultimo disco di Marley, Burnin’, dicendo quanto fosse bella la canzone in essa inclusa, I shot the sheriff. Al chitarrista inglese non piacque, ma alla fine acconsentì a registrarne una versione più rock e incalzante. Sarebbe stata l’arma segreta del disco: arrivò immediatamente al numero uno nelle classifiche portando l’intero disco a vendite milionarie. Marley, grazie a Clapton e così il reggae vennero sdoganati al grande pubblico occidentale. La canzone, che racconta una storia di disagio e malavita nei ghetti della capitale della Giamaica, spaccò il mondo della musica rock in due, una delle tante grandi svolte nella storia, dopo le quali le cose non sarebbero più state le stesse.

E l’amore con Patty Boyd? Resisteva inossidabile nel cuore di Clapton che qualche anno dopo riuscì a sposarla…

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