Protagonisti del documentario di questa sera – in onda in seconda serata su Rai 3 – ‘La verità del male – Il processo Priebke‘, i numerosi processi che si sono tenuti a carico dell’ex capitano delle SS Erich Priebke furono – di fatti, ma anche inconsapevolmente – i primi veramente mediatici della storia italiana con l’attenzione dell’intera nazione posta sul giudizio che sarebbe stato emesso a carico di colui che a vario titolo organizzò e partecipò all’eccidio delle Fosse Ardeatine: l’interesse pubblico attorno ad Erich Priebke fu altissimo e in un susseguirsi di colpi di scena i processi divennero l’ennesima occasione – per l’ex gerarca nazista – di rivendicare le sue azioni suscitando non poca indignazione nel popolo italiano.
Partendo dal principio, è bene ricordare che l’eccidio delle Fosse Ardeatine fu – forse – la pagina più buia dell’occupazione nazista di Roma dopo l’armistizio di Cassibile: morirono complessivamente 335 prigionieri per mano delle truppe tedesche che provarono anche ad occultare i corpi facendo esplodere l’ingresso delle Fosse; il tutto in una malata forma di rappresaglia dopo un attentato partigiano che costò la vita a 33 soldati nazisti, con Erich Priebke che – oltre a redigere l’elenco dei nomi dei prigionieri che dovevano essere giustiziati – uccise personalmente parte di quelle 335 persone.
L’arresto in Argentina e l’assoluzione di Erich Priebke: storia del primo processo mediatico della storia italiana
Dopo essere scappato in Argentina grazie alla vaticana ‘Ratline’, Erich Priebke venne scoperto per caso ed estradato in Italia dove ad attenderlo c’erano proprio i processi dei quali stiamo parlando tra queste righe: il primissimo che si aprì a suo carico – era il maggio del 1996 – si conclude qualche mese più tardi con la Corte militare che riconobbe l’ex SS come colpevole dei reati a lui imputati, ma lo assolse perché li ritenne altrettanto prescritti risalendo agli anni ’40.
Scoppiò – quasi naturalmente – l’indignazione popolare, tanto che la corte e lo stesso Erich Priebke furono costretti a rimanere barricati fino a notte fonda all’interno dell’aula a causa di una manifestazione che era scattata immediatamente dopo la lettura del dispositivo nei corridoi del tribunale: sentenza poi annullata dalla Cassazione e ridiscussa a partire dal 1997 da una seconda Corte militare che lo condannò a 15 anni – condonandone peraltro 13 -, ma con la clausola che i reati imputati non potevano essere prescritti per via dalle loro atrocità.
I processi finali a carico di Erich Priebke: la linea difensiva del boia delle Fosse Ardeatine
Nel secondo dei processi di primo grado e per tutti quelli successivi, Erich Priebke continuò a proclamare la sua completa innocenza sostenendo che la scelta di uccidere i 335 prigionieri fu solamente dovuta – con non pochi turbamenti nell’animo per lo stesso ex capitano delle SS – ad un ordine impartito dall’alto che non poteva essere disatteso; oltre a ripetere in più circostanze che la ‘colpa’ era da imputare ai partigiani e alla necessità di mantenere l’ordine cittadino dopo il loro attentato.
Al di là della linea difensiva – del tutto identica a quella di moltissimi altri colleghi ben riassunta dal saggio ‘La banalità del male’ di Hannah Arendt – i processi a carico del boia delle Fosse Ardeatine si concluse con una piena condanna all’ergastolo a carico di Erich Priebke; ma nell’ennesimo colpo di scena si decise anche di concedergli i domiciliari a Roma per via della sua ormai avanzata età e delle pessime condizioni di salute, tanto che l’ex SS morì all’età di 100 anni dopo averne trascorsi solamente una decina scarsa in carcere, sepolto il un luogo segreto e senza nome per evitare profanazioni e pellegrinaggi.