L’ordine è divenuto effettivo e ad oggi in Eritrea tutti gli ospedali cattolici sono stati chiusi – o stanno per esserlo – dopo il diktat della regime di Isaias Afewerki: 22 cliniche chiuse, preti e suore mandati in mezzo alla strada assieme ai malati che fino all’altro ieri venivano assistiti (gratuitamente) nel Paese dilaniato da anni di guerre civili e con la vicina Etiopia. Dopo 20 anni, lo scorso anno un trattato di pace tra Eritrea e vicini etiopi (anche loro tra l’altro non passano un momento “memorabile” dopo il tentato golpe dei militari, sedato nel sangue) aveva fatto sperare in una situazione migliore per tutti, minoranze religiose comprese: e invece il regime utilizza le tensioni nazionali con gli Stati dell’Africa vicini per imporre a tutti gli eritrei la leva-schiavitù obbligatoria. Durata infinita e continuo servizio militare allo Stato: una situazione imbarazzantemente a limiti del disumano, con conseguenze devastanti contro chi si permette di contestare le operazioni del Governo che hanno dilaniato famiglie e distrutto il tessuto economico del Paese. «Il governo attualmente ha applicato una legge, approvata nel 1995, che avocava a sé tutte le strutture sociali presenti sul territorio. Non era mai entrata in vigore fino ad ora» ha spiegato a Vatican News il collega giornalista Enrico Casale.
ERITREA, LA DITTATURA PERSEGUITA I CRISTIANI
«La chiesa aveva gestito tutta una serie di attività di carattere sociale a favore delle fasce più povere, come gli afar, popolazione nomade della Dancalia. Cittadini che lo scorso anno sono stati privati dell’unico centro medico della regione gestito da alcune Suore Orsoline. Gli ospedali cattolici – prosegue Casale – rappresentavano un pilastro del sistema sanitario nazionale. Sono circa 40 tra ospedali, centri sanitari e dispensari, tutti a servizio della popolazione, senza alcuna distinzione di etnia o religione, che forniscono cure quasi sempre gratuite»: i vescovi stanno cercando una linea di dialogo con il regime dell’Eritrea e organizzando digiuni e preghiere stanno cercando anche di attenzionare la comunità internazionale davanti allo scempio in corso in tutto il Paese. La Chiesa locale aveva contestato nei mesi scorsi una cima di “apartheid” in tutta l’Eritrea, dimostrandosi delusi dall’andamento della popolazione dopo l’accordo di pace con l’Etiopia: e Afewerki ora pare proprio intenzionato alla più cruda (e stupida) vendetta. Dirigere opere sociali «non può essere visto come atto di opposizione al Governo, siete come il regime marxista», sono i principali commenti dei vertici delle Diocesi africane dopo l’assurdo provvedimento contenitivo. «Saremo consolati dal Signore. I problemi che stiamo affrontando – afferma il vescovo di Asmara in una lettera indirizzata a tutti i cristiani d’Eritrea, e non solo – devono fortificarci, più che indebolirci. Il pensiero nella preghiera sia rivolto in modo speciale agli ammalati e ai religiosi che hanno dedicato loro la vita. Il vostro servizio e la vostra fatica non saranno vani, il Signore ricompensa con abbondanza di grazie chi persevera con Lui nella prova». Nel 2019 la dittatura marxista perseguita ancora la fede cristiana nel simbolo di massima concordia e pace possibile, le opere sociali e gli ospedali: l’ideologia non ammette ciò e fa di tutto per distruggerla, ma la forza della fede – come dimostrano i coraggiosi vescovi, suore e preti eritrei – è molto più forte.