Ermal Meta vola in discoteca. Non è così, ma è questa la prima impressione shock ascoltando il suo nuovo disco, “Tribù Urbana”. L’utilizzo massiccio di batteria e percussioni elettroniche, il largo dispiegamento di synth fanno ovviamente pensare a quell’elettropop tanto in voga nei primi anni 80, o forse meglio il synth pop dell’intero decennio. Un passo indietro nel tempo? Basta ascoltare la prima traccia del disco, Uno, dal ritmo trascinante, ballabile, addirittura gioioso per sentirsi riportare indietro nel tempo. Dove sono finite quelle meravigliose e intense canzoni come la splendida Piccola anima in coppia con Elisa, degna della miglior musica melodica d’autore italiana?
In realtà Ermal Meta ha sempre avuto il ritmo nel sangue, come in brani come Dall’alba al tramonto. Ha deciso però di operare un deciso cambiamento di stile e sonorità, e questo è un bene per ogni artista, cercare e affrontare nuove strade. Ma ad ascolti approfonditi il disco rivela che l’anima del cantautore italo-albanese è ancora tutta lì, soprattutto nei testi, capaci di raccontare tanti personaggi, se stesso e insomma quella “tribù urbana” a cui dedica il disco. E’ una serie di istantanee della tribù che circonda Ermal, una collezione di tante storie di vite imperfette che vanno “raddrizzate”. Anche quella di Ermal che “ha 13 anni e della vita non sa niente” perché sa che “la vita è importante“. E’ Il destino universale che ci rende tutti uguali, come Nina e Sara che scoprono cos’è l’amore in una calda estate di tanti anni fa. C’è anche la voglia di riprendere la propria vita in mano, dopo un anno buio dove l’unico pensiero dominante è stata la morte: “dagli occhi di una madre a quelli incerti di un soldato si accendono milioni di luci non ci separano più”.
Stelle cadenti, sempre ritmi anni 80, con ancora batteria elettronica e synth in primo piano, o la bella ballata pop Il destino universale, che tocca un po’ tutti, dai 15 ai 40 anni, una serie di fotografie, “il destino universale tocca a te e pure a me”, siamo tutti nella stessa barca. No satisfaction ancora elettro pop stile primi Depeche Mode, autotune con intermezzo rappato e grande lavoro di synth, è aggressiva e incalzante come non aveva mai fatto.
Naturalmente il disco contiene Un milione di cose da dirti, il brano presentato a Sanremo, con cui è arrivato al terzo posto aggiudicandosi anche il Premio “Giancarlo Bigazzi” per la miglior composizione musicale, decretato dall’Orchestra.
Il vecchio Ermal Meta c’è sempre, seppure giochi a nascondersi, e spunta fuori nell’intensa dall’intro pianistico Non bastano le mani: “non parlo mai di me che poi mi viene su, non dico mai tutte le cose”, così come anche ne Gli invisibili. Un disco complesso, prodotto con gran classe e ricerca sonora, che magari farà discutere, potrà deludere qualcuno, ma che mostra un artista in continuo movimento, in cerca di se stesso e della sua musica. Non è poco.