L’incubo dell’ingiusta detenzione è uno spettro che grava su tutti e ognuno può finire nelle maglie della malagiustiza. È ciò che insegna, ancora una volta, la storia di Erminio Diodato, imprenditore del Varesotto finito in carcere da innocente, rimasto in cella per 145 giorni di cui 10 trascorsi in isolamento, poi assolto dalle accuse che lo avevano visto precipitare in una vicenda che avrebbe distrutto il lavoro di una vita intera segnando la sua esistenza in modo indelebile.
A raccontare quell’inferno è stato lo stesso protagonista, ospite con il suo avvocato Danilo Galati negli studi di Lombardia Nera per descrivere un’odissea dai contorni assurdi e dai contraccolpi pesantissimi. Oggi sta cercando di rimettere in piedi la sua azienda, che prima dell’arresto era un piccolo gioiello dell’imprenditoria locale con certificazione Enac e diversi dipendenti, ma quanto vissuto a causa dell’errore della giustizia è una pagina impossibile da archiviare definitivamente. Fu accusato di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio a seguito del ritrovamento di un quantitativo di cocaina in un deposito della sua attività, dopo una telefonata anonima, insieme a un 43enne albanese che aveva spiegato che quella droga, invece, era solo sua scagionando l’imprenditore senza però essere creduto dal pm. Per Diodato, infatti, era scattata la custodia cautelare nel luglio 2020 in attesa del processo al cui esito è stato completamente assolto. Nonostante abbia perso tutto, nonostante sia stata dimostrata la sua totale estraneità ai fatti contestati, ha ottenuto un risarcimento di appena 60mila euro per ingiusta detenzione. Per quei 5 lunghi mesi passati dietro le sbarre, a cui sarebbero seguiti altri due ai domiciliari, il suo legale ne aveva chiesti 500mila.
L’ingiusta detenzione e il risarcimento-beffa dopo aver perso tutto
Prima di essere accusato ingiustamente e di finire in cella per 5 mesi, Erminio Diodato aveva un’azienda con un fatturato di diverse centinaia di migliaia di euro e diversi dipendenti, attiva in provincia di Varese. Il frutto del suo instancabile lavoro e della sua voglia di crescere come imprenditore, però, sarebbe stato disintegrato dall’ingiusta detenzione alla quale lo Stato avrebbe “riparato” con un risarcimento-beffa di soli 60mila euro. Lui non ne fa una questione di soldi, ma di principio e spiega che la sua esistenza è stata distrutta e che rimettersi in piedi, dopo quanto subito, non sarà semplice. Praticamente impossibile tornare indietro nel tempo come se nulla fosse e ricostruire l’esatto assetto che la sua attività aveva prima di piombare in quell’incubo.
Il suo caso si somma a quelli di decine di persone che subiscono errori giudiziari e finiscono in carcere da innocenti. L’ultima vicenda eclatante è quella dell’ex allevatore sardo Beniamino Zuncheddu che ha trascorso da detenuto 33 anni della sua vita prima di essere riconosciuto innocente con la revisione del processo per la strage di Sinnai, un crimine che non ha commesso. Nella vicenda Zuncheddu, però, le motivazioni dell’assoluzione – per i giudici non esente da dubbi sul suo coinvolgimento nel fatto – rischiano addirittura di compromettere il risarcimento. “Il magistrato aveva chiesto 6 anni, con tutte le prove a mio favore e con la testimonianza del coimputato che diceva che io non c’entravo niente“, ha ricordato Diodato a Lombardia Nera, ripercorrendo la sua vicenda. “Ho perso il sorriso, la felicità che avevo, il denaro conta poco, va e viene, ho solo rabbia perché la dignità delle persone invece cambia“. L’avvocato dell’imprenditore ha dichiarato che dietro l’ingiusta detenzione di Erminio Diodato si cela un fatto inspiegabile: “Abbiamo provato sconcerto nel momento in cui, alla fine delle indagini, nell’esaminare gli atti ci siamo resi conto che vi era un interrogatorio, risalente a 10 giorni dopo l’inizio della custodia cautelare in carcere, in cui il coimputato riconosceva che la responsabilità era esclusivamente sua. Il problema vero è che il pubblico ministero ha ritenuto di non dover mettere a conoscenza il giudice di questa circostanza, ma non solo. Tutte le emergenze investigative deponevano in un senso unico – ha proseguito il legale –, cioè per l’estraneità di Diodato. Eppure tutto è stato progressivamente ignorato sino a quando non abbiamo avuto accesso agli atti, intanto erano passati mesi, l’azienda aveva chiuso e lui era in carcere…“.