“Come puoi non aiutare qualcuno che è in difficoltà?” Così, con una domanda di una semplicità assoluta, Riccardo conclude la sua breve intervista. Non ha niente di speciale, Riccardo. Ha ventidue anni, fa la vita dei ragazzi della sua età. Domenica era in casa da solo, ha sentito del fumo nel suo appartamento. Ne ha cercato l’origine, ha capito che veniva dal piano di sotto, è uscito, ha visto un’anziana che gridava. Nell’appartamento della donna che stava bruciando c’era il suo compagno, bloccato a letto. Riccardo è entrato, ha afferrato l’uomo per le spalle, l’ha trascinato fuori. Gli ha salvato la vita. Subito dopo infatti la bombola dell’ossigeno che serviva all’uomo per respirare è esplosa. Ora l’uomo è grave, ma forse se la caverà.
Per giunta, non è la prima che volta che Riccardo salva la vita a qualcuno. Un paio d’anni fa infatti si era imbattuto in un uomo che voleva ammazzarsi buttandosi giù da un cavalcavia, l’aveva preso per un braccio e l’aveva convinto a rinunciare. “All’epoca come oggi mi chiesi soltanto: come puoi non aiutare qualcuno che è in difficoltà?”.
Una domanda di una semplicità assoluta, eppure decisiva. C’è dentro una cultura, una civiltà. Una cultura, una civiltà in cui io e l’altro siamo fatti della stessa stoffa. Non siamo estranei. Non è scontato. Recentemente mi è capitato tra le mani La filosofia nel boudoir del marchese De Sade. Non è appena un libro pornografico. È la teorizzazione consapevole di un principio che l’autore formula più o meno così (non ho il testo sottomano, cito a memoria, ma il senso è quello): “Il dolore dell’altro non ci tocca. Ci è completamente estraneo. Se il mio piacere implica il dolore dell’altro, non c’è nessuna ragione per cui io debba privarmi di un piacere per non causare un dolore a un altro”. Non è la paranoia di un pazzo: è la formulazione, estrema ma coerente, del principio chiave dell’individualismo della cultura moderna. È la negazione, irragionevole, ma oggi trionfante, dell’evidenza che nessuno vive da solo, che tutti – inevitabilmente, necessariamente – dipendiamo. E che perciò quel che accade agli altri riguarda anche me. Che il bene di un altro è un bene per me, il male di un altro è un male per me.
Sto leggendo l’ultimo libro di Stefano Zamagni, professore di economia politica a Bologna. Si intitola Responsabilità. Indaga, con ricchezza di dati e di fonti, le ragioni per cui vivere, lavorare, produrre in maniera responsabile è meglio per tutti, anche oggi, anche in un’epoca in cui l’irresponsabilità – non è colpa mia, che cosa c’entro io, i problemi sono ben altri… – è non solo terribilmente diffusa ma tenacemente teorizzata. Ecco, mi sembra che Riccardo, con un gesto, con una domanda di una semplicità assoluta, abbia reso evidente in un attimo quel che Zamagni spiega in pagine e pagine: essere umani è essere legati gli uni agli altri, è rispondere al bisogno che ti trovi davanti. “Come puoi non aiutare qualcuno che è in difficoltà?”.