Missili russi da spostare in Bielorussia, proiettili inglesi all’uranio impoverito destinati all’esercito ucraino, carri armati tedeschi Leopard partiti in direzione Kiev. Ormai lo scenario della guerra tra Russia e Nato per interposto nemico (l’Ucraina) sembra puntare verso un’escalation in cui la soluzione potrà venire solo dalle armi.



Stando a questi elementi la prospettiva di una terza guerra mondiale, con un coinvolgimento più diretto dell’Occidente, diventa sempre più concreta. Di fatto gli unici che hanno messo sul piatto un piano di pace sono i cinesi, mentre un altro possibile interlocutore come la Turchia, che inizialmente si era proposta per un ruolo da mediatore, ora attende le prossime elezioni per vedere se Erdogan riuscirà a confermarsi alla presidenza.



“I presupposti, se non per una pace, almeno per una tregua, un cessate il fuoco, non ci sono – osserva il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di Vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi tra cui Somalia e Kosovo -. Ma più si va avanti  a combattere e più questa guerra rischia di sfuggire di mano”.

Generale, con questi presupposti non c’è un’alternativa, siamo destinati a un’escalation nella guerra?

L’escalation non è mai finita dall’inizio della guerra, c’è stata perché c’è chi vuole la guerra a tutti i costi. E non sto parlando della Russia, perché ha tutto l’interesse di arrivare a un cessate il fuoco. Quello che sta succedendo era prevedibile a partire da un anno fa, quando sono cominciati a fallire i primi negoziati. Ci sono novità che aumentano le nostre preoccupazioni, che però non sono inaspettate.



Mosca intanto sposta una parte dei suoi missili in Bielorussia.

Che i russi abbiano deciso di schierare delle armi nucleari in Bielorussia dal punto di vista tattico non cambia la situazione. La Russia è in grado di colpire anche se non le schiera lì. È comunque un segnale nei confronti dell’Europa. I russi hanno promesso di intervenire nel caso in cui venga minacciato il loro territorio, ma se nel territorio cui si riferiscono rientrano il Donbass, la Crimea, gli oblast di Kherson e Zaporizhzhia che hanno occupato, siamo in una situazione abbastanza delicata. Hanno anche minacciato, sempre nel caso di attacco al territorio russo, di reagire contro gli Stati Uniti. Era un elemento di cui tenere conto già da prima: o la guerra si conclude, considerando che la Russia non può rinunciare a territori come la Crimea e ad avere un’Ucraina che non sia ostile, oppure, senza una soluzione di compromesso, stiamo andando verso un’escalation.

I russi già da tempo hanno minacciato l’uso delle armi nucleari, mentre dagli Usa riecheggia la voce del generale Kellogg, già consulente del vicepresidente Mike Pence, secondo il quale se non si vince in Ucraina si andrà verso una guerra europea. Insomma, il pericolo di un allargamento del conflitto è sempre più reale?

Dai tempi di Obama e di Hillary Clinton era chiaro che l’amministrazione democratica americana, che aveva dato il via alle primavere arabe e che aveva sponsorizzato l’Euromaidan del 2014, puntava a un confronto muscolare con la Russia. Quello che stiamo vedendo ora è la conseguenza di quell’impostazione. È stata bloccata per quattro anni da Trump, che infatti ha detto chiaramente che con lui la guerra non ci sarebbe stata: voleva ritirare gli americani anche dalla Siria, anzi, per un paio di settimane le truppe Usa si erano ritirate.

I russi, quindi, hanno invaso l’Ucraina, ma sono stati in un certo senso costretti da questa politica di confronto muscolare nei loro confronti che parte già da prima?

Per gli americani la Russia è un nemico esistenziale. C’è una contrapposizione tra una realtà continentale e una realtà insulare: quest’ultima è quella degli Usa, del Canada, della Gran Bretagna, dell’Australia, della Nuova Zelanda, di cui i primi tre sono i motori della Nato. Una contrapposizione continuata anche quando è caduto il comunismo, perché questa realtà continentale viene percepita come un concorrente temibile. Per un certo periodo sembrava che lo scontro non ci fosse, con Clinton, Gorbaciov, Eltsin. Si era parlato addirittura di far entrare la Russia nella Nato. Non è entrata perché non la vogliono. Comunque resta il fatto che dall’inizio della guerra siamo incamminati sulla strada di un’escalation che non si è mai interrotta. Non è che ci sia stata adesso un’accelerazione, stiamo andando avanti così da un po’.

Intanto la Germania ha fornito 18 carri Leopard, che potrebbero diventare di più in seguito. È un modo dei tedeschi per riprendersi la scena, visto che ormai sono stati scalzati dalla Polonia come principali referenti europei degli Usa?

La Germania ha perso la sua caratteristica di motore dell’Europa ed è stata soppiantata della Polonia. Prima ha provato a opporre resistenza, perché cedere armi di quel tipo non è uno scherzo e perché in caso di escalation i primi a rimetterci sarebbero proprio i Paesi del Centro Europa. Poi quando si è trovata davanti allo spettro della propria deindustrializzazione, con l’attentato al Nord Stream che l’ha privata di una risorsa essenziale, ha dovuto far buon viso a cattivo gioco e ha cambiato la sua posizione. E quello che vale per la Germania vale anche per la Francia: ha sempre cercato di mediare con Putin ma da un po’ di tempo è diventata afona. Così come è diventata afona la Turchia.

Erdogan fino a un certo punto ha provato a proporsi come mediatore, ma per il momento sembra avere smesso di essere un attore della scena ucraina. Come mai?

La Turchia è stato il Paese più attivo nel cercare di portare tutti al tavolo del negoziato, adesso però deve pensare alle conseguenze del terremoto e alle elezioni.

Stavolta Erdogan corre il rischio di non vincerle?

Non è detto che vinca, anche perché gli americani stanno appoggiando Kilicdaroglu, il suo principale avversario. Se vince quest’ultimo può darsi che la Turchia cambi atteggiamento nei confronti della Russia.

Zelensky intanto dice che è pronto a parlare con Xi Jinping.

Anche Blinken aveva detto a Xi, dopo l’incontro di Mosca, che avrebbe dovuto parlare con Zelensky. I cinesi sono stati gli unici insieme ai turchi a fare proposte di pace, ma è chiaro che se queste proposte nascono solo nei rapporti tra Cina e Russia viene indebolita la posizione ucraina. Zelensky vuole mettere un po’ di sabbia nell’ingranaggio di questa alleanza di fatto fra cinesi, russi, indiani che minaccia l’establishment economico mondiale. Parlare con Xi gli può solo convenire.

Ma le possibilità di un negoziato ci sono ancora? Possiamo aggrapparci a questa speranza?

Vedo solo una proposta di pace cinese, non vedo altri che ne fanno. C’era la Turchia, ma adesso, appunto, è afona. La Russia dice che non vuole cambiare i suoi programmi. Se non c’è un bagno di umiltà dell’Occidente che dice “Va bene, dobbiamo trovare una soluzione onorevole per entrambi” non si va da nessun parte. Finora è successo esattamente il contrario. Basta guardare all’incriminazione di Putin da parte della Corte penale internazionale.

Una circostanza che non aiuta certo la pace.

Prima di fare il processo di Norimberga hanno aspettato che finisse la guerra, Saddam è stato imprigionato dopo la guerra. Ma come si fa a pretendere, in uno scontro al calor bianco, di mettere sotto accusa uno dei due belligeranti? E le prove da dove saltano fuori? Ognuno fornisce le prove pro domo sua, ma la Corte internazionale ha rapporti solo con l’Ucraina. È una cosa incredibile. Quale capo di Stato potrà dire “troviamo il compromesso” se sa che il suo destino è un “cappio al  collo”? Continuerà fino alla fine. Questa presa di posizione è finalizzata a rendere impossibile un negoziato. Non solo, chi parla con Putin è a sua volta complice. Chi vuole negoziare può essere accusato di complicità con un criminale internazionale. Non vogliono la pace.

Quindi ci dobbiamo rassegnare alla guerra?

Bisognerà vedere cosa succederà sul campo, sperando che il conflitto rimanga limitato, ma nella consapevolezza che c’è anche chi vuole allargarlo. E non sono solo gli americani, ma anche in Europa i Paesi nordici, e la Polonia, quest’ultima perché vuole togliersi qualche sassolino dopo quello che hanno passato sotto il comunismo e perché ha i suoi interessi: l’Ucraina occidentale faceva parte della Polonia. Si torna a parlare dei confini dei vari Paesi.

Va a finire che trovano un accordo dividendosi l’Ucraina?

Non mi sorprenderei se con la scusa di aumentare la protezione nei confronti dell’Ucraina si arrivi non dico ad annettere una parte del territorio alla Polonia, ma ad avere un’area con presenza polacca. È fantapolitica. Ma a questo punto è possibile tutto.

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