Il potere di acquisto degli italiani è minacciato dalle crisi e da una tassazione sempre più irragionevole. L’esperienza professionale ci ha consentito di approfondire l’Imu e l’applicazione scomposta operata da alcuni Comuni, nel caso di specie Napoli.

L’azione delle Amministrazioni locali è mossa da un’irragionevole ed esemplificativa interpretazione del concetto di abitazione principale che penalizza i nuclei familiari formati da componenti che vivono in comuni diversi. L’opposizione promossa voleva valorizzare il principio di equità secondo cui l’imposizione fiscale, nazionale e/o locale, non può essere nemica della famiglia – ma discorsi analoghi varrebbero anche per le imprese – anche quando vuole colpire comportamenti elusivi. In sostanza, non si può violare la Costituzione con interventi indiscriminati solo per ragioni di cassa.



La vicenda avviata nel 2021, presso la Commissione tributaria provinciale (Ctp) di Napoli, ha trovato il suo epilogo presso la Corte Costituzionale con il pronunciamento della sentenza 209. La decisione della Consulta ha chiuso la controversia riferita all’Imu per i coniugi che vivono in due Comuni diversi aprendo alla possibilità che l’esenzione possa essere attribuita a entrambi gli immobili di proprietà dei coniugi. L’insegnamento della Corte, perché vedremo che di questo si tratta, va ben oltre il caso esaminato.



La vicenda nasce dalla definizione ai fini Imu di abitazione principale data dal Governo Monti nel DL Salva-Italia del 2011. La norma definì abitazione principale, e, dunque, esente dall’Imu, solo quella in cui «il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente». La norma così come disegnata è stata usata contro le famiglie che vivono in case ubicate in Comuni diversi senza minimamente dare attenzione a quelle famiglie separate da esigenze lavorative. Il paradosso della vicenda ha visto da un lato il Mef riconoscere l’esenzione per entrambi gli immobili sulla base di una lettura rigorosa della norma finalizzata a colpire gli immobili ubicati nello stesso Comune. Dall’altro lato c’era la Giurisprudenza spinta dagli Uffici Comunali la cui azione ha minacciato l’equità tassando tutti e due gli immobili per mascherare le inefficienze della azione accertativa.



Il Legislatore nel manifestarsi della vicenda non ha saputo cogliere l’occasione di osservare la Costituzione “spingendo” i cittadini a scegliere quale delle due abitazioni dovesse godere dell’esenzione limitandosi a offrire una scelta discriminatoria e penalizzante per i nuclei familiari che ha finito per favorire le situazioni di fatto. Si è scelto di colpire comportamenti elusivi con azioni generiche, superficiali e indiscriminate.

La Consulta ha posto rimedio rivalutando la famiglia istituto fortemente tutelato dalla Costituzione. In particolare, la Corte Costituzionale ha riconosciuto come l’interpretazione estensiva della norma abbia finito per penalizzare le coppie sposate violando tre articoli della Costituzione: l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, il dovere della Repubblica di agevolare la formazione della famiglia e la tutela della capacità contributiva secondo cui ciascuno deve contribuire alla spesa pubblica nel rispetto del reddito disponibile e non di una tassazione illimitata.

Ragioni di cassa non possono mettere in discussione principi così forti ed eventuali comportamenti elusivi devono essere contrastati dagli Uffici agendo con azioni accertative mirate. A questo proposito sovviene l’ammonimento della Corte (che si impone come insegnamento) che ha suggerito ai Comuni come orientare la propria azione accertativa ovvero controllare i consumi di elettricità, gas e acqua. La pronuncia ha fissato che ciascun possessore di immobili ha diritto all’esenzione Imu, purché abbia residenza anagrafica e dimora abituale nella casa, a prescindere dalla residenza e della dimora del coniuge o del convivente. Si aprirà probabilmente uno scenario che porterà a richieste di rimborso da parte di chi ritiene di averne diritto. Ciò produrrà problemi per le finanze comunali, ma non è accettabile che si giustifichi con questo una violazione dei diritti fondamentali della famiglia, delle persone coniugate o civilmente unite rispetto alle persone meramente conviventi.

In sostanza la decisione della Corte deve essere uno stimolo per la Pa ad avviare un efficientamento della propria azione che minaccia il potere di acquisto dei cittadini e delle imprese. Analoga deve essere l’azione del Legislatore che deve affrontare il tema della riforma fiscale interpretando e disegnando le esigenze della società e dell’economia italiana. L’Istat ha certificato che la pressione fiscale in Italia continua a salire senza sosta avendo raggiunto il 42,4% nel secondo trimestre 2022 facendo registrare un +0,3% nel raffronto con lo stesso periodo dell’anno precedente. L’aumento della pressione fiscale incide sul potere d’acquisto delle famiglie intaccato anche dall’aumento dei prezzi provocato dall’inflazione indotta dalle crisi in atto. Tutto ciò spinge a operare una riflessione sul destino di tutte le risorse fiscali, si pensi al prezzo dei carburanti spinto in alto dalle accise più che dal costo di produzione, che entrano nelle casse dello Stato e sull’atteggiamento che sempre più spesso assume l’azione impositiva attuata a tutti i livelli dalla macchina amministrativa.

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