L’esercito UK sembra essere sempre di più al centro di una profonda e complessa crisi nonostante i primi (forse timidi) tentativi di invertire la potenzialmente drammatica rotta da parte del Ministero della Difesa: un problema già noto e che l’amministrazione governativa presieduta dal laburista Keir Starmer ricollega – e ci arriveremo tra un attimo – a 14 anni di incuria da parte dei suoi precedessori; ma che diventa ancora più grave se si dà adito all’ipotesi galoppante in tutto l’occidente che l’esercito UK (e quelli di tutti i partner europei) potrebbe presto trovarsi a fare i conti con una minaccia bellica proveniente dalla Russia.



Partendo proprio da quest’ultimo aspetto, secondo una stima avanzata qualche mese fa dal ministro della Difesa Al Carns – peraltro ex Marine – in un conflitto di intensità pari o superiore a quello attualmente in corso in Ucraina, l’esercito UK non sarebbe in grado di sopravvivere per più di sei mesi consecutivi; soprattutto a fronte delle reiterate minacce da parte del futuro presidente USA Donald Trump che si dice pronto a ridurre il suo sostegno militare all’occidente europeo nel caso in cui i membri della NATO non portino la loro spesa militare per la Difesa ad almeno il 3% del Pil, con alcuni che ipotizzano che il tycoon potrebbe ulteriormente alzare l’asticella fino al 5% e fermo restando che attualmente solo 23 dei 32 membri dell’Alleanza rispettano la soglia attualmente fissata al 2 per cento.



La crisi dell’esercito UK e le strategie del governo laburista: gli aumenti salariali non fermano la fuga di soldati

Tornando al presente, a darci un’idea della portata della crisi dell’esercito UK è un recentissimo reportage condiviso dal britannico Telegraph che – citando i dati ufficiali del Ministero della Difesa – riporta un altissimo tasso di licenziamenti da parte dei soldati britannici: complessivamente, le forze del Re contano circa 137mila soldati regolari, aumenti dall’inizio dell’anno ad ottobre di circa 12mila unità che non sono state sufficienti a coprire i 15mila 119 licenziamenti dei quali almeno 7.778 sono stati conteggiati come ‘volontari’ (ed i restanti, ovviamente, collegati all’anzianità).



Insomma, dati alla mano sembra che per contenere i licenziamenti dell’esercito UK ed attirare i nuovi reclutamenti non sia stato sufficiente neppure l’aumento del 6% degli stipendi (il più alto degli ultimi 22 anni) deciso solamente lo scorso luglio dal governo laburista, con il 32% dei soldati che si dichiarano ancora “insoddisfatti” della loro retribuzione: un problema che – accennavamo in apertura – i colleghi di Starmer imputano al fatto che “questo governo ha ereditato una crisi” dovuta al fatto che “negli ultimi 14 anni” non sono stati rispettati gli “obiettivi annuali di reclutamento”.