I fatti internazionali degli ultimi mesi sembrano aver riportato indietro le lancette della storia, proponendo una retorica verbale, un’escalation militare e una contrapposizione che nella lunga parentesi della Guerra Fredda vedeva confrontarsi le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica.
Questo primo scorcio di XXI secolo si presenta ricco di implicazioni per la politica estera e lo scenario della sicurezza internazionale. Dopo un ventennio di “unipolarsimo necessario”, nel quale gli USA si sono trovati a gestire da soli le sorti del pianeta, a seguito della caduta del Muro di Berlino, il mondo va configurandosi attorno a diversi poli di potenza, ciascuno con le proprie ambizioni e la propria fame di crescita. La Russia torna ad assumere un atteggiamento aggressivo, reagendo a quella “frustrazione storica” determinata da un vuoto geopolitico e da una crescente sindrome di accerchiamento.
L’impero russo fonda la propria volontà di potenza sull’energia, petrolio e gas in particolare. Il reticolo di oleodotti e gasdotti disegna le direttrici dell’espansionismo russo, che ha in mano ormai le chiavi del Continente europeo e ha ricominciato la scalata alla primazia strategica, con investimenti militari sempre più massicci.
La Cina e l’India non sono più una sorpresa. I due modelli di sviluppo sono profondamente diversi, ma il risultato comune è quello di una straordinaria vitalità economica e demografica. La più popolosa democrazia del pianeta, l’India, si pone sempre più come Impero del software, come nuova frontiera dell’innovazione tecnologica e della manodopera specializzata. Magnati indiani sono ormai tra i 500 uomini più ricchi e celebri del mondo e Nuova Delhi conquisterà presto il mondo a colpi di esportazione di ingegneri e di know how. Diversa strategia, invece, sta adottando da qualche anno la Cina, autocrazia politica condita con un’economia di mercato. Le sue esportazioni a basso a costo modellano ormai il sistema economico, finanziario e commerciale internazionale; i fondi sovrani cinesi hanno conquistato buona parte della finanza mondiale; società cinesi hanno una capitalizzazione di Borsa superiore ai grandi colossi del petrolio europei o americani.
Ma la mappa geopolitica del XXI secolo non si esaurisce qui. Il Brasile, ad esempio, è il capofila dei cosiddetti “paesi emergenti”, accanto a Nigeria, Sud Africa e Corea del Sud. Il Brasile è l’Impero verde-oro, che dopo aver rimesso a posto i suoi fondamentali socio – economici, ha avviato una strategia di conquista dei mercati a suon di petrolio e bioetanolo. Tra nuove rotte dell’energia, relazioni commerciali e politiche privilegiate, spese per la difesa che tornano a crescere come mai era accaduto dagli anni ’80, la nuova militarizzazione dello spazio, il XXI secolo sarà irreversibilmente il secolo del ritorno della storia e della geografia. I profeti della globalizzazione avevano intravisto, appena un ventennio fa, la fine della storia – dal titolo del celebre saggio di Fukuyama – e la fine della geografia, con le frontiere che sarebbero cadute sotto i colpi del villaggio globale, dell’informatica e delle telecomunicazioni.
La recente crisi georgiana dimostra quanto i confini siano tornati centrali nelle relazioni tra Stati ed in quella che va sempre più profilandosi come una corsa globale al petrolio, al gas e alle rotte commerciali, in una polarizzazione sempre più spinta tra democrazie di mercato e autocrazie politiche.