Due giorni fa le forze speciali americane sono entrate in territorio siriano e hanno annientato una cellula di Al Qaida. La reazione siriana è stata veemente, molto più di quella seguita alla distruzione di un sospetto sito nucleare il 6 settembre 2007, ad opera dell’aviazione israeliana. Eppure questa è solo l’ultima di una serie di notizie che fanno presumere un nuovo conflitto in Medio Oriente, molto più esteso e distruttivo di quello contro Hezbollah nel luglio 2006.



Il mese scorso, su questo sito, erano state elencate le precondizioni politiche e militari per un attacco all’Iran. Rispetto ad allora molto è mutato. Se nel golfo di Oman era presente solo la portaerei nucleare “Ronald Reagan”, oggi si è aggiunta la “Theodore Roosevelt” dopo un viaggio che, dall’Atlantico l’ha portata, attraverso il canale di Suez, fino a Cape Town e poi di nuovo a nord. Eppure la possibilità di un attacco all’Iran da parte di Israele e Stati Uniti sembra essere diminuita per la contemporanea assenza dei rispettivi governi: un vuoto politico come non si era visto da decenni. La crisi economica mondiale è partita dagli Stati Uniti e ha nell’amministrazione Bush uno dei molti responsabili. Questa gestione di governo muore senza eredi. Sia Obama sia Mac Cain prendono le distanze dal presidente uscente come da un lebbroso politico, ma c’è da chiedersi chi, da qui a gennaio 2009 e poi nei mesi successivi, avrà la responsabilità di fare scelte che potrebbero essere di rilevanza storica. In Israele la corruzione e la meschina litigiosità della classe politica stanno sgretolando l’unica democrazia del Medio Oriente e, fino alle prossime elezioni, rimarrà in carica un simulacro di governo presieduto da Olmert.



In queste condizioni è arduo pensare che governi così malridotti e screditati possano iniziare un conflitto di vaste proporzioni e pretendere pure di farsi seguire da un’opinione pubblica democratica. Questa situazione, però, potrà durare, al massimo, ancora per un anno e, in ogni caso, l’attivazione della centrale di Busher dovrebbe scatenare la reazione israeliana.

A fronte di tale temporanea debolezza potrebbero esservi iniziative di grande portata. La Siria non solo ha ristabilito ottimi rapporti col governo libanese ma, di fatto, controlla il paese tramite un Hezbollah molto più armato e potente del 2006. In queste settimane la Siria ha schierato prima migliaia di uomini delle forze speciali ai confini col Libano e poi forze sempre maggiori, fino a un totale di quattro divisioni. Il tutto fa pensare alla possibilità di un colpo di mano e alla rioccupazione del Paese dei cedri, storico obbiettivo del regime degli Assad, padre e figlio. Si tratta di un governo, quello siriano, che, dall’occupazione dell’Irak, ha sempre mantenuto una politica ambigua, reprimendo le cellule terroristiche al proprio interno, e mantenendo, al tempo stesso, una sospetta porosità di confini per i volontari che volevano combattere in Irak. Il raid dei giorni scorsi, probabilmente favorito dall’aviazione di Gerusalemme (come sostiene il sito israeliano www.debka.com ), scompagina questi disegni e pone Damasco davanti a scelte cruciali: restare alleato di Teheran o cambiare di campo.



Anche il regime iraniano è in forte difficoltà dato che la crisi economica e il ribasso dei prezzi petroliferi sta colpendo duramente la credibilità del governo di Ahmadinejad. Infliggere una sconfitta durevole a Israele potrebbe essere un successo straordinario che porterebbe l’Iran al rango di superpotenza islamica. Come? La prima mossa sarebbe degli alleati di Teheran in Palestina. È di ieri la notizia secondo cui Hamas starebbe programmando una serie di attentati, inoltre alcuni rapimenti di soldati sarebbero già stati sventati. All’Occidente e all’Europa, soprattutto, non resta che attendere, spettatrice di un dramma al quale non sa e non può porre rimedi efficaci.