Lo scorso 2 ottobre sono iniziate le commemorazioni per il 40° anniversario del movimento studentesco del ’68. In Messico questo movimento nacque nel quadro di un regime autoritario, governato da un unico partito che controllava non solo la stampa, ma anche ampi settori della società attraverso un modello corporativo.



In questa occasione, come ogni anno, il ricordo romantico si è mescolato con la richiesta di giustizia, poiché ancora oggi non sono stati processati gli ex funzionari che parteciparono alla repressione delle rivolte studentesche di Città del Messico del 2 ottobre, e ancora non è stata fatta chiarezza su quello che avvenne.



Come ogni anno, si ripete la parola d’ordine “il 2 ottobre non si dimentica” e vari settori della sinistra messicana si “appropriano” dei caduti. Senza dubbio, il nostro passato non può essere ridotto a una serie di rituali commemorativi, o trasformarsi in un semplice oggetto di culto per alcuni gruppi politici o ideologizzati, ma deve trasformarsi in una provocazione e in una ricchezza per il presente. Per questo, oltre al ricordo, talvolta doloroso, dovremmo chiedererci come ci interroga oggi questo fatto del passato.

Malraux ha detto: «Non esiste alcun ideale per il quale possiamo sacrificarci, perché di tutti conosciamo la menzogna, noi che non sappiamo cos’è la verità». Senza negare il contributo del movimento studentesco del ’68, insieme ad altri, all’ampliamento dell’apertura democratica del nostro Paese, né il desiderio di giustizia e libertà che lo motivava, dobbiamo riconoscere che l’ideale rivoluzionario che proponeva è storicamente fallito.



In uno degli atti commemorativi di quest’anno, Elena Poniatowska, scrittrice messicana, ha detto che i giovani d’oggi sono come quelli di allora perché aspirano a un ideale. Quindi cosa possiamo offrirgli? Dove o come possono incontrarlo? Cosa può offrire loro oggi l’università, luogo in cui fu protagonista il movimento di allora?

Queste domande diventano ancora più urgenti se consideriamo che sebbene non viviamo più sotto un regime di partito unico, la pretesa del potere di uniformare le coscienze, mediante i mezzi di comunicazione e l’educazione, esiste ancora sotto forme apparentemente sottili, ma non per questo meno efficaci. Basti l’esempio del Governo di Città del Messico che si è posto l’obiettivo di pubblicare libri su vari temi, come la sessualità e la storia, usando fondi pubblici per diffondere una visione ideologica particolare sul passato, sulla persona e la sua libertà.

Di fronte al desiderio di un ideale per la vita, l’università può offrire qualcosa solamente se recupera la preoccupazione per la verità, per educare alla ricerca della verità e non a un’ideologia particolare. Oggi le nostre università, sia pubbliche che private, sembrano più centri di trasmissione di una certa maniera di pensare che del gusto di pensare.

Sebbene l’università abbia questo obiettivo fondamentale per la società, la ricerca della verità non è solamente uno scopo riservato agli intellettuali o all’ambito universitario, ma è essenziale per la vita di qualunque persona, poiché ha a che fare con la ricerca di un senso per la vita, di un ideale che non inganni, ma che compia la vita nel presente senza lasciar fuori nessuno degli aspetti che la compongono: famiglia, affetti, lavoro, cultura e politica.

L’unico vero argine contro il potere è la persona, cosciente di sè e del proprio destino, cioè della verità della sua vita. D’altronde, solamente un ideale vero può trasformarci in protagonisti e farci incidere nella storia, senza dipendere dalla conquista del potere politico o attendere che si realizzi un futuro utopico.

(Laura Juárez)