John McCain ama il format del townhall meeting, le assemblee popolari nate nel 1700 in New England. Nel contatto diretto con gli elettori, nel botta e risposta con loro si esprime meglio. Perché a differenza di Barack Obama, è più diretto, meno cerebrale e verboso nelle argomentazioni. Più lineare e, generalmente, più efficace. Ecco perché il secondo dibattito tv, a Nashville Tennessee, andato in onda nella notte italiana prometteva scintille.
Invece tutto è stato piatto, salvo qualche piccola impennata. Con entrambi i candidati frenati dal timore di perdere piuttosto che concentrati a mettere ko l’avversario. Eppure era il repubblicano a dover condurre le danze, a rimettere in pista la sua corsa verso la Casa Bianca che si è fatta sempre più affannosa (anche se tutt’altro che compromessa) per colpa della crisi dei mutui e del tracollo finanziario. Obama ha gestito meglio la crisi, McCain è parso invece incapace di trovare un’identità.
Il senatore dell’Arizona aveva promesso alla vigilia del duello tv che «era tempo di togliesi i guantoni». Il suo staff aveva fatto capire che un cambio di strategia era imminente. Non più attenzione esclusiva sui programmi e sul profilo di McCain, “maverick e eroe di guerra”; piuttosto attacchi frontali al “nemico”. L’obiettivo: dipingere Obama come un liberal e come un politico “sconosciuto” dai legami con personaggi discutibili come il reverendo Jeremiah Wright, il terrorista Bill Ayers e il costruttore condannato per corruzione Tony Rezko.
Ebbene il format del townhall meeting non ha consentito a McCain di toccare questi tasti. I due candidati hanno risposto alle domande di un pubblico selezionato dalla Gallup fra gli indecisi. E le questioni sono state sul “portafoglio”: crisi economica, sistema pensionistico, energia, sanità, lotta agli sprechi.
Per un’ora Obama e McCain si sono confrontati su temi molto concreti, ribadendo a grandi linee le loro proposte, così come il refrain degli attacchi reciprochi. Con il democratico che ha accusato il rivale di essere una fotocopia di Bush e di essere un sostenitore della deregulation che ha portato – a detta di Obama – al disastro finanziario ed economico. Il repubblicano invece ha bollato il programma del senatore dell’Illinois come un manifesto dell’interventismo governativo e della centralità di Washington (e della spesa pubblica) nelle dinamiche della società e dell’economia Usa.
Nulla di nuovo. Se non la possibilità di sferrare attacchi e critiche al rivale davanti a una platea televisiva di qualche decina di milioni di persone. Obama ha criticato la riforma dell’health insurance di McCain accusandolo di tassare i benefit. McCain ha ribattuto dicendo che nel piano dello sfidante democratico «è prevista una sanzione pecuniaria per i genitori che non assicurano i figli» e per i piccoli imprenditori che non danno garanzie assicurative ai dipendenti.
Sulla crisi dei mutui, McCain ha estratto dal cilindro una proposta per rinegoziare i mutui di quelle famiglie che rischiano di perdere la casa. Secondo la sua idea, il governo compra il prestito e poi lo cede al contraente con un tasso fisso più basso. Proposta vecchia, ha liquidato il tutto lo staff di Obama. Lo stesso senatore dell’Illinois nel marzo scorso aveva sostenuto una posizione simile. E qualcosa del genere, ha argomentato, si trova anche nel piano di maxisalvataggio da 700 miliardi di dollari del ministro Paulson.
Più acceso lo scambio di colpi sulla politica estera. Con McCain più aggressivo, ma Obama molto più pronto rispetto al primo dibattito. Per il senatore dell’Arizona non si può parlare apertamente e sbandierare ai quattro venti la voglia di «violare la sovranità del Pakistan per colpire Bin Laden e i taleban». Non ci si può lamentare – ha proseguito McCain – se poi in Pakistan cresce l’ostilità verso gli Usa. Obama si è limitato a dire «di non aver mai parlato di invadere il Pakistan». «Ci sono cose che non capisco, è vero», ha detto con perfetta tecnica retorica Barack Obama: «Infatti non capisco perché abbiamo invaso l’Iraq che non aveva nulla a che fare con l’11 settembre».
La sensazione è che Obama abbia interpretato bene il ruolo di favorito. Il democratico è apparso presidenziale. Mentre McCain parlava, camminando sul tappeto rosso e cercando il contatto con gli spettatori, Obama se ne stava seduto sulla sua sedia. Osservava come se fosse pienamente in controllo della situazione.
Atteggiamento che si può permettere visti alcuni sondaggi che lo danno in testa anche in 6 Stati che nel 2004 votarono George W. Bush. E fra questi pure Ohio e Florida. I dibattiti storicamente non cambiano il corso delle campagne elettorali. Ma un dato è certo: McCain ha un giorno e un dibattito in meno a disposizione per dimostrare all’America quello che va dicendo da mesi: che è il suo pragmatismo e non l’idealismo di Obama la vera forza del cambiamento.