Anche il secondo dibattito presidenziale si è consumato, ma la sensazione è che a questa partita manchi qualcosa. Gli issues trattati sono ormai sempre quelli: la crisi dei mutui e dei mercati, il piano energetico, le tasse, la previdenza, la sicurezza del paese, la politica estera.
Secondo i sondaggi Obama è in vantaggio in molti Stati chiave, anche se – per molti – ciò è dovuto alle responsabilità (reali o presunte) dell’amministrazione Bush, piuttosto che a meriti particolari del senatore dell’Illinois.
McCain, nonostante tutto, resiste, sostenuto da Sarah Palin che tra i candidati è la persona che l’americano medio sente più simile a sé.
Nessuno dei due, tuttavia, convince veramente. E questo è forse il motivo di tanta incertezza circa gli esiti delle elezioni. La sensazione è che in questa partita ognuno reciti il proprio ruolo, come da copione, senza avere il coraggio di “sparigliare”.
Obama, sicuro del vantaggio, si limita a controllare l’avversario. Lo “yes we can”, l’ideale del cambiamento con il quale aveva suscitato tante speranze, pare essersi ridotto ad un anonimo elenco di proposte che nulla hanno a che fare con la ricostruzione ed il rilancio di un’America veramente nuova.
Dall’altra parte, il pragmatismo di McCain, tutto stelle e strisce, non pare al momento vincente. Il candidato repubblicano, che pure dovrebbe far di tutto nel tentativo di recuperare terreno nei sondaggi, non osa, si limita a ripetere sempre le stesse cose, impegnato com’è a liberarsi dell’ombra nefasta dell’attuale Presidente.
La devastante crisi di queste settimane avrebbe invece dovuto suggerire ai due contendenti che l’America, se davvero vuole avere un ruolo di leader sulla scena mondiale, ha bisogno di una spinta dal basso, di una riscoperta delle sue radici e dei suoi valori fondativi.
Che cosa ne è oggi della libertà, della giustizia, della famiglia e della vita umana negli Stati Uniti? Forse gli strapagati esperti di strategia di comunicazione dell’uno e dell’altro hanno sconsigliato di trattare temi troppo impegnativi. Magari perché scomodi e impopolari o forse solo perchè ritengono che l’America sia già fondata su solidi pilastri, che non necessitano di essere messi in discussione. In campagna elettorale meglio occuparsi di “questioni di pancia”.
Ma una politica ripiegata solo sull’immediato che non osa guardare più lontano rimane schiava di interessi effimeri e, alla lunga, “virtuali”.
E tra la gente-gente? Per molti il criterio della scelta sembra essere soltanto il proprio tornaconto personale. Eppure, ascoltando i discorsi di chi ti siede al tavolo accanto al ristorante o chiedendo conto a un collega che in ufficio ha appeso al muro una foto della hockey mom con tanto di dedica autografa e impronta di rossetto, si percepisce che per alcuni, magari pochi, c’è una domanda più profonda.
Non resta che sperare che qualcuno, tra Obama e McCain, cominci finalmente a seguire le regole di Chitarrella* e “sparigli”.
(*) Autore di un libro sulle regole dello scopone, pubblicato nel 1750
(Giovanni Marra, Washington DC)